Come costruire una carta dei vini? Risponde Chiara Giorleo
Intervista alla critica gastronomica Chiara Giorleo
Dopo esperienze di studio e lavoro in Italia, Canada (dove ha lavorato presso la Camera di Commercio di Toronto), California (dove ha studiato Wine Marketing & Sales presso il Napa Valley College) e Regno Unito, dove ha fatto parte dello staff dei Decanter World Wine Awards, oggi Chiara Giorleo lavora come critica enogastronomica freelance con collaborazioni e pubblicazioni in Italia, USA, Russia e UK ed è titolare del blog chiaragiorleo.com. Giudice per concorsi nazionali e internazionali come l’IWC-International Wine Challenge a Londra, è referente per l’Italia del concorso mondiale sull’enoturismo WBV-World’s Best Vineyards. Docente AIS e WSET e guida esperta di tour enogastronomici, si occupa di formazione e traduzioni nel settore enogastronomico, collaborando anche con guide di settore. È anche membro dell’Associazione Nazionale Donne del Vino e vincitrice del Premio Malvarosa Food Blog Award nella categoria Wine & Drink nel 2014 e nel 2016.
Raccontare il vino è diverso dal raccontare il cibo?
Il vino è molto di più che il risultato di un mero processo di trasformazione. Riesce a contenere i caratteri di un territorio – si pensi banalmente a un territorio con clima caldo o freddo o ai vigneti collocati in bassa collina o in montagna – così come la cultura di un luogo fatta di tradizioni produttive e tecniche locali. O, ancora, preferenze e sensibilità del produttore, basti pensare a temi come la sostenibilità. Nel racconto del vino bisogna riuscire a trasmettere tutto quanto c’è dietro quel calice, trovando il giusto equilibrio tra informazione ed emozione.
Quando incontra per la prima volta un vino, si affida mai al suo sesto senso?
A mio avviso la degustazione non è che l’interpretazione di una serie di sensazioni. Si tratta di incanalare e classificare le informazioni che il vino ci comunica per mezzo di odori, sapori, sensazioni tattili. Ed è spesso proprio l’istinto che ci fornisce gli input da analizzare per valutare, ad esempio, il potenziale di invecchiamento di un vino, o la sua stessa identità se degustato alla cieca. Questi input sono tanto più affidabili quanto più l’istinto è stato allenato, potendo spaziare tra un maggior numero di esperienze e riflessioni.
In una carta dei vini per un ristorante di fine dining, cosa non può mancare? E in quella di un ristorante più informale?
In entrambi i casi è fondamentale una scelta accurata dei vini del territorio: è ciò che mi aspetto se arrivo da più lontano, l’immersione completa. Inoltre, nel caso del fine dining è interessante offrire la possibilità di spaziare geograficamente e nel tempo, consentendo anche di provare qualche annata più vecchia per vini che lo meritano. Nel caso del ristorante informale, di trattorie e osterie, è centrale il rapporto qualità-prezzo: sfida ancora più difficile, se vogliamo. Ma è sempre bene trovare l’equilibrio tra nomi più noti e chicche produttive, senza cadere in un eccesso o nell’altro.
Quale tipologia di vini abbinerebbe alla carne di capriolo?
Il miglior abbinamento è quello che preferisco in un dato momento, a seconda della stagione o della compagnia. Difficile anche generalizzare perché la preparazione finale, più o meno dolciastra (si pensi all’uso comune di composte e confetture), eventuali marinature o l’abbinamento con quella salsa e quell’ortaggio, andranno a caratterizzare il piatto in modo determinante. C’è da considerare che i piatti a base di selvaggina sono dotati di sentori decisi, spesso arricchiti da tecniche di cotture elaborate, l’uso di spezie, erbe e così via, per cui se si vuole evitare che il boccone annienti il sorso è opportuno orientarsi su vini rossi di altrettanta struttura, avvolgenti e persistenti, al fine di supportare l’aromaticità e la personalità del piatto. Si può spaziare tra Aglianico del Vulture, Lagrein o un Cannonau di Sardegna in versione Riserva, fino ad arrivare a Barolo, Taurasi, Montefalco Sagrantino e Amarone della Valpolicella nel caso di piatti ulteriormente decisi e complessi. Se volessimo spaziare oltre i confini nazionali, potremmo andare su classici europei come Bordeaux o Rioja Reserva oppure, ancora, Shiraz della Barossa Valley o un Carmenere cileno.