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La verità nel mezzo

Il rosato è molto indietro dal punto di vista della comunicazione, essendo nuovo rispetto ai cugini rosso e bianco; non conosce ancora la notorietà, pur essendo un vino che comunque a molti piace.

Quando ero piccolo ero un alchimista provetto, mischiavo rosso e bianco fino a ottenere un rosato perfetto senza neanche doverlo assaggiare. Ora che ho attirato la vostra attenzione (e probabilmente qualche insulto), posso parlare di quello che mi interessa. Come ormai saprete, questa rubrica tratta di tutto – perché tutto in qualche modo è comunicazione – cercando il più possibile di aprire nuove finestre sul paesaggio del tema in esame. 
Parliamoci chiaro, il rosato è molto indietro dal punto di vista della comunicazione, essendo nuovo rispetto ai cugini rosso e bianco; non conosce ancora la notorietà, pur essendo un vino che comunque a molti piace. 
Il rosato è la metafora di una verità nel mezzo. Mi spiego meglio: tralasciando tutte le nozioni tecniche e affidandoci solo all’emozione, che è l’unica forza trainante di gran parte delle nostre decisioni, il rosato a una prima occhiata è un vino che in apparenza non è né carne né pesce. 
Adattando questo ragionamento a un brand, molti diranno che è estremamente sbagliato non avere una direzione precisa e in gran parte delle situazioni è vero, ma come in tutte le cose niente è assoluto. 
Al tempo dell’università c’era un professore che divideva i suoi studenti in due tipologie distinte: le persone cosiddette pizza, che espandono le loro competenze in orizzontale, entrando in contatto anche con campi lontani dal proprio, e le persone grattacielo, altamente specializzate in una sola cosa. Lui considerava solo il secondo tipo, ma questa è un’altra storia. 
Un vino rosato quindi, è qualcosa di diverso: pigiato come un rosso, vinificato come un bianco, è un ibrido che in certe situazioni è un’ottima scelta, perché è versatile come le persone pizza, capace di stare in equilibrio in qualsiasi situazione o piatto; un ibrido appunto, parola a cui spesso noi, purtroppo, diamo un’accezione negativa. 
Nel lavoro pubblicitario è necessario avere un rosato nella squadra e questo non mi stancherò mai di dirlo, perché, nonostante in un processo creativo la tecnica sia necessaria, la capacità ma soprattutto il coraggio di sovvertire un pensiero appartiene ai rosati Il perché è chiaro, non è neanche voluto: vivendo in un mondo di bianchi e rossi, il rosato deve ritagliarsi il suo spazio vitale malgrado tutto. In un mondo di alta specializzazione tecnica e di bianchi con pesce e rossi con carne, abbiamo ancora bisogno del rosato per nuove esplorazioni a tavola e nella pubblicità. 

Pubblicità, Strategia, Brand Identity