L’agnello dal rito alla mensa pasquale
L’ “agnello da latte”, dalla carne tenera e profumatissima, è quello che deve avere tra i 30-40 giorni e pesare circa 10 Kg o meno ed essere stato alimentato solo con il latte materno.

Vittima preferita per i sacrifici sugli altari degli dèi per la facile diffusione, per le dimensioni, per il carattere innocente, mite che trasmetteva un messaggio di mansuetudine e sottomissione. Vittima quindi quasi predestinata. Nell’area mediterranea l’agnello è considerato da sempre come il simbolo del candore e della fragilità della vita, soprattutto per le popolazioni seminomadi come quella ebraica. Con l’offerta di un agnello il sacrificio prevedeva un dono puro e prezioso, così questo innocente animale passerà a simboleggiare la figura dell’Agnus Dei che si sacrifica per salvare il mondo, identificandosi quindi con la Pasqua stessa.
Anche perché le carni dell’agnello da latte, particolarmente tenere, raggiungono il sapore migliore proprio nel periodo che va tra marzo e giugno. E quindi cibarsi del prezioso agnello durante la Pasqua (al pari del maiale a Natale) era una delle poche occasioni per gustare carne di prima qualità. Del resto, l’allevamento ovino era molto diffuso, una delle attività più antiche dell’uomo, sviluppatasi molto prima di quella agricola.
I Sumeri, i primi a trasformare il latte in formaggio con la scoperta del caglio e agli Egizi il primato della trasformazione del vello in lana. Da queste civiltà in poi deriveranno latte, formaggi, pelli, lana e carni. E gli allevamenti ovini in alcune zone diventeranno un bene patrimoniale per eccellenza, la misura della ricchezza.
Tra le migliori razze italiane: la Bergamasca, in Lombardia e le regioni del nord; la Biellese, soprattutto in Piemonte; l’Appenninica, razza autoctona toscana e umbra, la Fabrianese, soprattutto nelle Marche; la Barbaresca in Sicilia; la Sarda, autoctona della Sardegna e una delle più antiche europee, riconoscibile per il vello bianco formato da bioccoli appuntiti, ha anche ripopolato dopo l’abbandono delle campagne degli anni ‘60 le zone del centro-sud italiano; e la strana razza Laticauda in Campania, a coda grande e larga che funge da riserva di grasso e di acqua. Si racconta che questa razza sia venuta alla luce da una serie di incroci con razze italiane e arieti africani, importati dai Borboni in Italia al tempo di Carlo III. Serviva tradizionalmente per preparare formaggi dalla caratteristica dolcezza e consistenza burrosa. Oggi il Presidio di questi allevamenti si ha soprattutto nelle zone dell’avellinese e del beneventano. Con il quinto quarto della Laticauda si preparano gli ammugliatielli (PAT), saporiti involtini di interiora avvolte in stecchi di legno e condite con aglio, prezzemolo, peperoncino, formaggio e cotte poi alla brace.
Ovviamente con la grande richiesta del periodo pasquale si fa ricorso ad agnelli di importazione. Tra questi degni di nota vi è l’agnello pré-salé, allevato in Francia nei pressi di Mont Saint-Michel, dove quando il mare si ritira a causa delle maree, gli ovini brucano l’erba ricca di sale e iodio che rendono quella carne pregna di note salmastre e unica nel sapore.
L’ “agnello da latte”, dalla carne tenera e profumatissima, è quello che deve avere tra i 30-40 giorni e pesare circa 10 Kg o meno ed essere stato alimentato solo con il latte materno. L’agnello di 3-4 mesi ha carne rosa vivo e ancora soda e tenera, mentre l’agnellone, macellato tra i 5 e 8 mesi di vita, ha carni più scure e dal sapore pronunciato ed è considerato carne rossa; il castrato, maschio castrato in giovane età o femmina mai riprodotta, ha 6-12 mesi di vita, carni scure, sapore molto forte; la pecora, femmina adulta e il montone, entrambi macellati alla fine della vita riproduttiva, hanno carni grasse dal sapore molto intenso.
Nell’abbacchio, ricetta tradizionale laziale, troviamo gusto e storia. Non può infatti mancare sulla tavola di Pasqua questo agnello giovanissimo, nutrito ancora con il latte e dalla carne molto tenera, di colore chiaro e dalla copertura equilibrata di grasso: la parola viene dal latino, ma di etimo incerto. Potrebbe derivare da abecula, diminutivo tardo latino di ovis, pecora. Oppure venire da baculum, riferito alla consuetudine di legare gli agnelli lattanti a un palo infisso nel terreno per indurli a non allontanarsi dalla madre.
L’agnello oggi, dal rito alla mensa pasquale, è una carne da intenditori, ricca di proteine, vitamine PP e del gruppo B, sali minerali tra cui ferro, fosforo e potassio e, privata del grasso, tenera e magra, per palati raffinati in gustose ricette. Ogni regione ha modi diversi di cucinare l’agnello per lo più in ricette tradizionali.
In Abruzzo è molto famoso l’agnello cacio e ovo, la cottura della carne con l’aggiunta finale di formaggio e uova. Altra ricetta interessante utilizza il carré d’agnello al timo o rosmarino fasciato con il lardo di Colonnata, un secondo piatto molto invitante, mentre persiste l’uso del castrato in alcune zone dell’Umbria per preparare il brodo di Pasqua. Piatto prelibato è anche la coratina o coratella: il quinto quarto di fegato, polmoni, cuore e milza tagliati tutti in piccoli pezzi regolari e aromatizzati con il rosmarino e con l’aggiunta poi della salsa di pomodoro per accompagnarlo alla torta al testo. In alcuni borghi umbri alla coratella si univano i fagioli bianchi lessati oppure i carciofi, mentre nella zona del Trasimeno e del tuderte si aggiungevano patate tagliate a tocchetti. Malgrado, insomma, alcuni abbiano abbandonato la consuetudine di portare sulla tavola pasquale la carne d’agnello per scelta ideologica, soprattutto nelle regioni italiane del centro-sud permane questa antichissima tradizione in gustose, tradizionali ricette.