A proposito di oche, passarono alla storia quelle sacre a Giunone allevate sul Campidoglio. Quando i Galli di Brenno nel 390 a.C. presero Roma, tentarono di impossessarsi a sorpresa anche della parte più alta e sacra della città, quella posta sul Colle Capitolino. Gli invasori furono però scoperti dalle oche di Giunone, che si misero a starnazzare così potentemente da attirare l’attenzione del console Marco Manlio, che accorse a scongiurare l’assalto nemico. Fu così che le sacre oche di Giunone furono considerate le salvatrici del Campidoglio dalla conquista dei Galli, intesi come popolazione celtica, ovviamente.
Fin qui la parte più nota della storia. Pochi sanno, invece, che proprio questa vicenda dette origine alla parola oggi usata in tutto il mondo per definire il denaro, cioè moneta e i suoi continuatori (money, münze, moneda, monnaie…). Seguendo la tradizione infatti, proprio in virtù dello scampato pericolo, alla dea Giunone venne assegnato il titolo di Moneta, nel senso di colei che ammonisce, mette in guardia (sottinteso, per mezzo delle oche). Il suo tempio sul Campidoglio divenne così per i romani quello di Iuno Moneta.
Poco dopo, nelle sue vicinanze sorse la prima zecca di Roma, che prese il nome proprio da quell’attributo della divinità. Dal nome dell’officina monetale a quello del prodotto il passo fu breve: così moneta divenne sinonimo del denaro coniato.
Ma non si pensi che i Romani non mangiassero le oche perché animali sacri. Basterà vedere le ricette di salse per oca lessa presenti nel ricettario di Apicio o ricordare l’oca sacra a Priapo (dio della virilità) uccisa per legittima difesa da Encolpio nel Satyricon e poi prontamente finita a pezzi allo spiedo, per capire che i nostri antenati latini non ne disdegnavano affatto le carni, fegato e grasso compreso.
Del resto, anche dell’oca non si butta niente proprio come del porco e il volatile divenne un provvido sostituto del maiale, laddove questo era interdetto dalla religione. Che sia più economica e facile alternativa al suino nelle tradizioni contadine dell’Italia centrale lo prova la classica gustosa metafora culinaria dell’oca in porchetta.