Cucina di sala: un rituale da riscoprire
Rappresenta forse la massima espressione della spettacolarizzazione del servizio
Esistono gesti che non smettono mai di ammaliare e coinvolgere chi li guarda. Nella sala di un ristorante anche il più piccolo movimento può essere reso elegante, ma alcuni rituali catturano sempre l’attenzione dell’ospite e si caricano di teatralità: basti pensare alla banale apertura di una bottiglia di vino, per non parlare della sua decantazione, all’avvinamento dei calici o al servizio di un formaggio dal carrello.
La cucina di sala rappresenta forse la massima espressione della spettacolarizzazione del servizio: un insieme di tecniche, gesti, procedimenti, con i quali è la sala che diventa protagonista anche delle preparazioni, ultimando i piatti direttamente davanti all’ospite. Chi non ha mai sentito parlare del flambé e delle mitiche crêpes suzette, che secondo la leggenda “stregarono” il principe di Galles (poi Edoardo VII) a fine Ottocento nel principato di Monaco? Su tutte sicuramente il flambé è la tecnica più scenografica con la quale le pietanze vengono ultimate attraverso l’utilizzo di una fiamma viva e di un liquido alcolico che genera la fiammata che tanto cattura l’attenzione.
Ma la cucina di sala non si limita a questo. Trinciare, sfilettare, sporzionare, sono alcune delle attività che ormai sempre più di rado vengono affidate alla sala, nonostante le loro antichissime origini scenografiche. Già nell’antica Roma esistevano servitori deputati al taglio e al servizio delle carni, antesignani della successiva figura del trinciante: questi, nelle corti rinascimentali, era un personaggio di altissimo profilo che si occupava proprio di tagliare e sezionare le carni secondo rituali sempre complicati trasformando gesti tecnici manuali in cerimoniose prove di destrezza ed eleganza nei banchetti.
Nella ristorazione classica la cucina di sala ha raggiunto la sua massima diffusione, svolgendo anche compiti che oggi sono esclusivo appannaggio della cucina: nessuno si sognerebbe mai di preparare le penne al salmone o gli scampi alla diavola in sala con un solo fornello e una padella come avveniva più di mezzo secolo fa, per un milione di sacrosanti motivi.
È pur vero, però, che la storia e le tradizioni possono essere copiose fonti di ispirazione, per questo risulterebbe sicuramente vincente reinterpretare alcune mode ormai passate, attualizzandole e riproponendo in sala un passaggio della preparazione di un piatto, il suo assemblaggio o creando pietanze che prevedano la compartecipazione di sala e cucina per un’esperienza più totalizzante.
È infatti da ricercare nella spettacolarità dei gesti e nel coinvolgimento dell’ospite, che crea accoglienza e stupore, la vera essenza della cucina di sala. Solo Bud Spencer e Terence Hill in Continuavano a chiamarlo Trinità (1971) risulterebbero impassibili ai riti della cucina di sala, che hanno il potere di intrattenere e stupire, proprio come un grande ristorante dovrebbe prefissarsi di fare.