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Pistacchi: oro verde clorofilla

Apprezzatissimo fin dalla notte dei tempi

Pistacchio, ovvero albero delle Terebintali, recante foglie imparipennate rosse, frutto simile a un’oliva e con seme verde commestibile, già apprezzatissimo fin nella notte dei tempi. Pianta originaria del bacino Mediterraneo (Persia – Turchia), se ne coltivavano i semi sia per il consumo diretto, sia per aromatizzare cibi e preparati, dolci come salati. Era già noto e coltivato dagli Ebrei e già da allora ritenuto un frutto prezioso. Ne abbiamo riscontri documentati. Infatti, l’Antico Testamento, nel libro della Genesi, riporta: «Allora Israele, loro padre, disse loro: “Se così è, fate questo: Prendete ne’ vostri sacchi delle cose più squisite di questo paese, e portate a quell’uomo un dono: un po’ di balsamo, un po’ di miele, degli aromi e della mirra, de’ pistacchi e delle mandorle”» (Gen 43,11).
Conosciuto dai Greci con il nome di pistákē, nell’antica Roma è pistăcium; si ritrova reso come pistachium nel 1289 nel latino medievale/commerciale della Repubblica di Venezia.
Passando da un capo all’altro dello Stivale, c’è pure da dire che la coltivazione dei pistacchi oggi è incentrata in Sicilia, ma la produzione di pistacchi a Stigliano (Matera) è tra le più vaste a livello europeo. Nel suo celebre I Dipnosofisti, Ateneo di Naucrati, scrittore e sofista greco vissuto nel II secolo nell’Impero romano e diversi autori greci ed ellenistici, parlano proprio del pistacchio. Inoltre, sebbene si abbiano notizie di una coltivazione introdotta da Lucio Vitellio nel 30 d.C., secondo alcuni furono gli Arabi a intraprenderne la coltivazione nel IX-XI secolo, diffondendola nei terreni poco profondi e calcarei piuttosto frequenti nelle aree interne collinari della Trinacria. Infatti sono ancora famosi i pistacchi della varietà Red Aleppo, nota città della Siria.
Tornando in Sicilia, si distingue la produzione, conosciuta in Italia e all’estero, di Bronte (in Provincia di Catania) la quale accoglie ed esalta il Pistacchio Verde di Bronte D.O.P. in pistacchieti o lochi che ricoprono circa 2.600 ettari di terreni impervi di terreno lavico.
A fare da controcanto c’è il pistacchio di Raffadali (Agrigento), con superfici coltivate di circa 500 ettari. In questo caso, immediato è il riferimento con il duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, Ministro delle Poste e dei Telegrafi del Regno d’Italia e botanico per passione. Egli incrementò la coltivazione di centinaia di piante di pistacchio alle già floride piantagioni esistenti nei territori di Raffadali e nei comuni limitrofi. A coronare questa passione è stato il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) avvenuta agli inizi del 2021.
L’aspetto innovativo ai quali puntano i coltivatori di pistacchio si divide sia sul fronte produttivo, sia su quello del marketing. Sul primo si tende a ottenere un pistacchio biologico, ovvero semi senza l’uso di pesticidi, e ciò determina un alto valore aggiunto. Nell’altro fronte, quello del marketing, ci si concentra verso una sorta di gemellaggio con il passito di Pantelleria e vino Marsala.
Sono anche in essere rapporti commerciali sia con la Corea sia con la California. Inoltre si desidera riscoprire tradizioni locali, come quelle delle monache cistercensi del monastero annesso alla Chiesa di Santo Spirito, ad Agrigento. Nelle loro cucine, grazie a grandi pentoloni in terracotta si rinnova la tradizione della semola (cuscus) condita con i pistacchi, in aggiunta a frutta candita e cioccolato. Si tratta di un’antica ricetta di origine nordafricana dall’aspetto goloso e invitante, mentre con un ripieno a base di pistacchi le sei suore farciscono delle particolarissime Conchiglie di pasta reale.