Il Natale della tradizione, come a casa
Natale non è un piatto di snack, spuntini leggeri assemblati in libertà, un pasto veloce e magari in solitaria. Natale è uno storytelling sensoriale da condividere con altri commensali e con ricette che raccontano storie
Natale non è un piatto di snack, spuntini leggeri assemblati in libertà, un pasto veloce e magari in solitaria. Natale è uno storytelling sensoriale da condividere con altri commensali e con ricette che raccontano storie di genti e territori. E dietro a ogni piatto si nascondono curiosità e leggende, un itinerario tra i sapori delle ricette regionali tradizionali. I piatti natalizi, in fondo, annoverano alcuni tratti comuni come l’opulenza degli ingredienti, i colori squillanti e la grandiosità delle forme, i brodi, le gelatine, le laccature e farciture di ricchi timballi, le carni a volontà, il trionfo dello zucchero, del cioccolato, delle spezie e della frutta secca, del miele e di scintillanti canditi.
Così un “viaggio piatto per piatto” diventa un itinerario affascinante e ricco di sorprese.
Un menù delle Feste potrebbe aprirsi con i classici crostini toscani con il paté di fegato e spruzzati di dolce vinsanto e ancora con la succulenta parmigiana umbra di gobbi, i cardi fritti e ripassati in forno con ragù e parmigiano, i salumi classici di norcineria accompagnati da goduriose olive ascolane.
Dopo la ricca ed elegante galantina, ottima anche per il Capodanno; ecco che non può mancare il brodo, di cappone ovviamente, con i classici tortellini a Bologna, cappelletti a Perugia. La pasta all’uovo ripiena (di carne, di ricotta ed erbette o addirittura di polpa di zucca) e da preparare durante i giorni di festa, fa parte della storia regionale dell’Emilia-Romagna già dal XIII secolo.
Alternativa, magari per Santo Stefano, i passatelli marchigiani aromatizzati con la noce moscata o la stracciatella laziale, vale a dire uova cotte direttamente nel brodo di gallina o di cappone. Il brodo regalerà poi il bollito misto all’italiana che in Emilia prevede sette tagli di polpa (fiocco di punta, cappello del prete, noce, punta di petto, culatta, tenerone, scaramella), sette tagli secondari (cotechino, coda, testina, lingua, zampino, gallina, lonza), verdure, aromi e poi i “bagnetti”, ovvero le salse come la salsa verde, quella di senape e la mostarda.
Come primo piatto asciutto ecco gli strangozzi spoletini al tartufo nero (il melanosporum a Natale è fantastico), oppure i ravioli o ancora una lasagna al ragù. Il secondo piatto prevede un arrosto di carne, che sia dello stesso cappone, o di tacchino o di agnello, oppure un salmì di cacciagione. La Vigilia di Natale è rigorosamente di magro, in Umbria un tempo era baccalà mentre in Toscana, nelle Marche e in Emilia, presente il mare, in tavola arrivavano i vari caciucchi, la gustosissima e famosa zuppa di pesce, i gamberoni, i primi piatti con le vongole, quello insomma che il mare regalava nel periodo.
Oggi compaiono anche i pesci affumicati a rallegrare la tavola della vigilia e quella del cenone di fine anno, insieme alle diverse preparazioni spesso casalinghe sottolio o sottaceto, come i classici carciofini o l’altrettanto golosa giardiniera. Talvolta compare anche l’insalata russa, un sontuoso piatto della Belle Époque dedicato alla nobiltà russa che allora folleggiava a Parigi. Per il Capodanno auguri di prosperità e “soldi” con le lenticchie di Castelluccio, prelibati bottoncini di gusto abbinati a salsicce o allo zampone o cotechino.
Per i dolci del Natale vince la Toscana: dal famoso panforte, una variante del panpepato, speziato dolce e ricchissimo di canditi e raccomandato persino da Pellegrino Artusi nella sua opera La scienza in cucina (1891). Tutelato dal marchio Igp, esiste in due versioni: nero, cosparso di spezie, oppure bianco, chiamato panforte Margherita. A Siena anche i cavallucci, perché diffusi in passato nelle stazioni della posta dove avveniva il cambio dei cavalli, e in origine chiamati pepini o morsetti e presenti già nel ‘400. La frutta candita (cedro e arancia), le noci, l’arancia grattugiata, i semi di anice e le spezie (cannella, noce moscata, chiodi di garofano e cannella), li rendono perfetti per il periodo natalizio. Mentre i Ricciarelli a base di mandorle, zucchero e albume d’uovo, secondo la leggenda furono introdotti in Toscana dal senese Ricciardetto Della Gherardesca, di ritorno dalle crociate in Turchia. E ancora le copate a base di miele, noci e mandorle, una sorta di croccante racchiuso tra due ostie che pare fosse preparato dalle suore di Montecelso, a Siena.
In Emilia si prepara la spongata, in origine un dolce ebraico, un marzapane al miele, mentre a Ferrara il panpepato, in origine panpapato che ricordava la papalina, il copricapo del papa, e ancora il Certosino di Bologna, spezie, miele, mandorle, pinoli, cioccolato fondente e canditi.
Nelle Marche il bostrengo, definito in diversi modi – frustingo, pistringo, frostenga – in base al luogo, mantiene la sua radice nel termine frusto, cioè “pezzetto”, nel senso di misero: basso e compatto, è assemblato con olio extravergine d’oliva, fichi secchi, mandorle, noci.
In Umbria la rocciata di Foligno con la sua variante di Assisi e l’attorta spoletina, tutti dolci che ricordano lo strudel; il famoso torciglione, un impasto di mandorle tipico del lago Trasimeno; i mostaccioli, biscotti con il mosto amati da San Francesco, e nel perugino le pinoccate, zucchero, pinoli e albumi a forma di losanga, che venivano lanciate durante le nozze rinascimentali. La versione di Terni del panpepato, che ha diverse varianti sparse per il Centro Italia, ha ricevuto la denominazione Igp nel 2020: un dolce di origine contadina dalla storia secolare che pare risalire al 1500. Nel Lazio il pangiallo ha origini molto antiche nella Roma imperiale ed è diventato tipico per le Feste, mentre di solito si preparava il giorno del Solstizio d’Inverno come buon auspicio.
Insomma, la convivialità e il cucinare per gli altri nei giorni delle Feste, diventano fatti emotivi emozionali: chi siede alla tavola del Natale cerca l’anima del momento, vuole entrare in contatto con il suo cuore. Con un calice di bollicine italiane in mano…