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Stoccafisso: dalla Norvegia all’Italia il viaggio è breve

C’è un’isoletta, oltre al Circolo Polare Artico, piena di bandiere italiane, e dove se per avventura sentono qualcuno che parla la nostra lingua lo abbracciano con affetto e lo fanno sentire a casa. Quell’isola si

C’è un’isoletta, oltre al Circolo Polare Artico, piena di bandiere italiane, e dove se per avventura sentono qualcuno che parla la nostra lingua lo abbracciano con affetto e lo fanno sentire a casa. Quell’isola si chiama Røst e si trova al largo dell’estremità sudoccidentale del più noto, ma sempre remotissimo, arcipelago delle Isole Lofoten, nel nord della Norvegia. Un luogo legato alla storia di un prodotto straordinario, lo stoccafisso, e alle sue strette connessioni con l’Italia.

Lo stoccafisso è il merluzzo nordico bianco conservato per essiccazione naturale senza l’uso del sale e non va confuso con il baccalà, da merluzzo nordico grigio, che viene invece conservato per salagione.

A Røst e nelle vicine Lofoten i merluzzi nordici bianchi arrivano nei mesi invernali per deporre le uova, vengono pescati e, dopo una prima lavorazione, che consiste nella decapitazione del pesce e nella pulitura, vengono esposti all’aria aperta in apposite strutture, di solito aperti in due lungo la spina dorsale. I merluzzi restano esposti alle fredde temperature nordiche da febbraio a maggio, alla temperatura ideale, poco sopra lo zero, e senza piogge. Ciò consente di evitare la contaminazione batterica e l’assalto degli insetti. Una volta pronti, gli stoccafissi vengono classificati pezzo per pezzo dal vrakeren, il selezionatore, figura fondamentale del processo di produzione, di occhio lungo e mano svelta, in varie categorie qualitative, in base a caratteristiche come la presenza o meno di macchie (spesso provocato da un indebito contatto con un altro pesce o con il legno della rastrelliera), la dimensione, la pulizia, la compattezza. Poi i pezzi maturano per altri due o tre mesi al chiuso, in un ambiente secco e ben ventilato. Al termine dell’essiccamento, il pesce ha perso circa il 70 per cento del suo contenuto originario di acqua, ma ha mantenuto i suoi notevoli principi nutritivi.

Lo stoccafisso è un alimento ricco di proteine, di calcio, di sali di ferro, di vitamine e contiene meno di 100 calorie ogni cento grammi, una volta “ammollato”. Già, perché per essere cucinato lo stoccafisso deve prima essere ammorbidito con una sosta per al meno tre giorni in acqua che va spesso sostituita, perché riacquisti la consistenza morbida originaria.

D’accordo, ma l’Italia?

In Italia quasi ogni regione ha la sua ricetta realizzata con lo stoccafisso, da quello all’anconetana con patate, olio e abbondante vino, al Pesce stocco di Messina e di Reggio Calabria.

L’Italia è semplicemente il primo mercato mondiale dello stoccafisso, ne importa all’incirca due terzi (il mercato del baccalà è decisamente più vario) e per questo il Belpaese è così popolare nelle Lofoten e in particolare a Røst. Da noi quasi ogni regione ha la sua ricetta realizzata con lo stoccafisso, da quello all’anconetana con patate, olio e abbondante vino, al Pesce stocco di Messina e di Reggio Calabria, che viene utilizzato per decine di ricette, dai bucatini con lo stocco alle polpette, dallo stocco alla mammolese all’insalata di stocco, dalla frittata di stocco allo stocco e fagioli. Poi ci sono piatti in Liguria, in Toscana, in particolare nel Livornese, e in Campania. Ma è il Veneto la regione dove questo prodotto ha trovato particolare utilizzo, in ricette leggendarie come il Baccalà mantecato (sì, si chiama baccalà ma è stoccafisso) e il Baccalà alla vicentina. E al Veneto è legato la particolare corrispondenza d’amorosi sensi tra l’Italia e Røst, grazie alla storia avventurosa di Pietro Querini, un nobile di una potente famiglia veneziano, e membro di diritto del maggior consiglio della Serenissima, che nel Quattrocento commerciava vino tra l’isola di Candia, che ora si chiama Creta, e le Fiandre.

E, come racconta Giovan Battista Ramusio, autore nel Cinquecento del volume “Delle navigationi et viaggi”, una storia delle più importanti imprese per mare dall’antichità classica fino alla sua epoca, proprio nel corso di un viaggio per mare per consegnare un carico di Malvasia e di altre merci, era il 1431, la sua nave, una caracca di nome Querina, fu spinta da una tempesta fuori rotta, oltre Capo Finisterre. Il timone si ruppe, l’imbarcazione fu in balia dei venti e della correnti per diverse settimane, fin quando l’equipaggio decise di abbandonarla, affidandosi a due scialuppe: sulla prima salirono in diciotto e di loro non si seppe più nulla; sulla seconda, una lancia più capiente, trovarono posto in 47, tra i quali Quarini e gli altri ufficiali. Furono giorni difficili, di pochi viveri e tante privazioni, in molti morirono e furono gettati in acqua.

Quando la lancia prese terra su un’isoletta sperduta era il 14 gennaio 1432: ce l’avevano fatta solo in sedici, tra essi Quarini. Quel grosso scoglio disabitato era Sandøy, vicino a Røst. Lì i naufraghi vissero per giorni di espedienti, fin quando non vennero avvistati da alcuni pescatori che li soccorsero e li portarono a Røst, dove vennero adeguatamente rifocillati con quello che era l’alimento monopolista del luogo, quel bastone che tutto sembrava tranne che un pesce e che però Quarini e i suoi amarono come il cibo migliore del mondo perché letteralmente salvò loro la vita. Il navigatore veneziano si sentì in dovere di scrivere una dettagliata relazione per il Senato della Serenissima, in cui così descrisse la principale attività dell’isola:

“Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l’altra sono pàssare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le pàssare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone”.

Dopo alcuni mesi di riposo, il 15 maggio 1432, Querini riprese il mare per tornare alla sua Venezia, con un carico che comprendeva alcuni stoccafissi essiccati, che stuzzicarono subito la curiosità dei suoi concittadini.

I veneziani impararono ad apprezzare le virtù di questo cibo dal design perfetto, dalla facile trasportabilità e dal kit nutrizionale completo.

Lo stoccafisso era anche un cibo di magro, perfetto per un calendario che, a causa dei precetti religiosi allora molto stringenti, prevedeva all’incirca duecento giorni l’anno senza carne in tavola.  È così che i veneziani, e in seguito tutti gli italiani, adottarono lo stoccafisso. Ed è così che a Røst adorano Quarini, che ha in qualche modo costruito la fortuna di quell’isoletta. A lui nel cinquecentenario del naufragio, nel 1932, fu dedicato un cippo a Sandøy. E un isolotto è stato intitolato anche al paesino vicentino di Sandrigo, dove ha sede la Confraternita del Bacalà, creata nel 1987 per ridare vita a una tradizione che stava morendo e dove ogni anno si tiene una festa del baccalà a cui sono invitati alcuni “rostesi”. Italiani e norvegesi: una razza, un merluzzo.