È proprio quando è freddo, quando piove o nevica che viene maggiormente voglia di un bel piatto di polenta calda e fumante.
La polenta- che oggi è protagonista di molte e raffinate ricette gourmet proposte da chef stellati – era il piatto dei poveri, di chi non poteva permettersi altro, e che soltanto nei giorni di festa veniva arricchita con un sugo di un’unica salsiccia che veniva posta al centro della spianatoia di legno: i commensali ai lati della tavola cercavano di mangiare il più velocemente possibile perché soltanto colui che fosse arrivato al centro si sarebbe aggiudicato quella salsiccia che, nella sua unicità, sanciva l’estrema povertà della famiglia riunita intorno al tavolo.
La polenta era tra i cibi più diffusi nella maggior parte delle famiglie soprattutto nel Nord Italia. Lo scrittore Beppe Fenoglio così descrive il tipico desco del contadino nel suo celebre romanzo La Malora: «A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un’acciuga che pendeva per un filo dalla travata; l’acciuga non aveva già più nessuna figura d’acciuga e noi andavamo avanti a strofinare ancora qualche giorno, e chi strofinava più dell’onesto, fosse ben stata Ginotta che doveva sposarsi tra poco, Tobia lo picchiava attraverso la tavola, picchiava con una mano mentre con l’altra fermava l’acciuga che ballava al filo».
Questa sua diffusione in ampie zone della penisola fu anche alla base di una grave problema di ordine sanitario: la pellagra. Secondo la prima indagine sanitaria dell’Italia unita, nel 1878, centomila persone in Italia ne erano affette. Erano quasi tutti contadini che vivevano soprattutto fra Veneto, Emilia e Lombardia. La polenta di mais per coloro che ne mangiavano quantità assai rilevanti – ovvero per le quali costituiva il nutrimento – si trasformava in veleno mortale.
Oggi la polenta è soltanto uno dei tanti gustosi e ricchi alimenti della nostra dieta e ogni regione ha le sue ricette particolari: in Valle d’Aosta viene condita con toma o fontina, in Piemonte con burro e tartufo d’Alba, in Lombardia la ricetta tipica è polenta e osei; in Liguria si mangia con l’immancabile pesto, in Veneto con le seppioline, in Trentino Alto Adige con la selvaggina in umido, in Friuli con il montasio, in Emilia Romagna con i fagioli, in Toscana con il cavolo nero, nelle Marche con salsicce e costine di maiale, nel Lazio condita con guanciale e pecorino, in Umbria con lenticchie e salsicce in umido, nel Molise con salsiccia sotto sugna e pecorino, in Puglia con cipolle e pecorino, in Campania si gusta fritta, in Calabria condita con broccoli ripassati con l’aglio, in Basilicata con sugo al basilico, in Sicilia con cipolle, bietole e finocchietto e in Sardegna con salsicce e pecorino.
E poi possiamo gustarla in ogni altro modo accompagnandola con legumi, carni, formaggio o pesce, ma quando la portiamo nelle nostre tavole ricche di ogni tipo di pietanze ricordiamo per un attimo quanto sia diversa la gustosa varietà delle polente di oggi con la disperata monotonia della polenta scondita dei nostri antenati.