La quintessenza dell’healthy food
Il pinolo è un prodotto biologico per eccellenza
Burrosi, aromatici, raffinati, la fama dei pinoli viene da lontano. I Greci e i Romani li adoravano come ingrediente per produrre un particolare tipo di inebriante vino, considerandoli un alimento afrodisiaco, poiché simboleggiavano nella forma e nella lattescenza l’attributo maschile ancora gravido del seme.
Ingredienti importanti in salse, farce per carni e pesci, mescolati al miele o alla melassa, la loro fama continuò nel tempo fino a diventare, tra il Quattrocento e il Cinquecento, cibo per mense aristocratiche: «Con i pinoli avvolti nello zucchero sciolto in un cucchiaio si fanno delle pastiglie alle quali si applicano sottili lacrime d’oro battuto, penso per magnificenza e per diletto». (Platina).
Un tempo la raccolta dei pinoli era rischiosa poiché prevedeva la salita sugli alberi (il pinus pinea o pino domestico è un albero maestoso che può raggiungere fino a 30 metri di altezza) e gli operai erano divisi in «scuotitori, coglitori, raccattini, caricatori e barrocciai». Le pigne, ovoidali, lunghe 8-15 cm, impiegano 3 anni per maturare e racchiudono i pinoli italiani o pinoli mediterranei, dal sapore ricco e resinoso e considerati i migliori al mondo.
Il pinolo è un prodotto biologico per eccellenza, protagonista della nostra cucina in preparazioni salate o dolci e presente in centinaia di ricette tradizionali: pinoccate, torcolo di san Costanzo, pandolce genovese, biroldo, castagnaccio, certosino, pasta con le sarde, pesto alla genovese, pinolata, sarde a beccafico, spongata, strüdel, torta coi bischeri, mantovana, torta della nonna, tutti gioielli della tradizione gastronomica.
Bello da vedere, profumato da odorare, gustoso da assaporare, l’etichetta nutrizionale del pinolo mette in evidenza i pregi del prodotto di un’alimentazione moderna e allo stesso tempo legata alle tradizioni: la quintessenza dell’healthy food.
Secondo alcuni studi il famoso pesto ligure potrebbe essere un’evoluzione dell’antica agliata, ottenuta al mortaio e costituita principalmente d’aglio, che a partire dal XIII secolo si diffuse soprattutto per le sue proprietà conservanti. I primi ad aver citato il pesto alla genovese “moderno” furono Giovanni Battista e Giovanni Ratto nel testo La cuciniera genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese del 1863: «Prendete uno spicchio d’aglio, basilico, formaggio olandese e parmigiano grattugiati e mescolati insieme a dei pignoli e pestate il tutto in mortaio con poco burro finché sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fine in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne e le troffie, unendovi un po’ di acqua calda senza sale per renderlo più liquido».