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Le romici, un concentrato di ferro

I mille impieghi delle piante del genere Rumex

Durante le frequenti passeggiate alla ricerca di erbe spontanee, molto spesso incontriamo le romici, piante erbacee ai più sconosciute, ma molto interessanti da riconoscere per le loro innumerevoli proprietà. Stiamo parlando del genere Rumex appartenente alla famiglia delle Polygonaceae: quest’ultimo termine deriva da poly=molti, unito a gonium=angolo, e fa riferimento alla forma dei loro frutti. A questa famiglia appartengono anche il grano saraceno e il rabarbaro. Il nome del genere Rumex deriva appunto da rumex=giavellotto, lancia, per la forma appuntita delle foglie di molte specie di questo genere.
Il genere Rumex comprende piante generalmente perenni, a portamento cespitoso, con fusti erbacei ma tendenti a lignificare, glabre, alte fino a oltre 60 cm. Le foglie hanno lamina oblungo-lanceolata, acuminata all’apice, talvolta astata, con margine più o meno increspato. I generi appartenenti alla nostra cultura etnobotanica sono: R. acetosa L., R. crispus L., R. obtusifolius L., R. pulcher L. che sono tutte piante officinali molto ricche di ferro.
Nella R. crispus è presente l’acido crisofanico o rumicina, un composto organico che è contenuto anche nel rabarbaro cinese (Rheum palmatum L., 1759), in altre specie di rabarbaro e nell’Aloe arborescens (Mill., 1768). L’acido crisofanico ha proprietà purgative e antiparassitarie. In passato è stato adoperato nel trattamento di alcune malattie della pelle. Le romici vengono utilizzate anche per la cura di laringite, tosse secca e mal di gola. La radice è molto ricca di ferro e viene utilizzata come antianemico, tonico-ricostituente, lassativo (sostitutivo del rabarbaro), mentre i frutti, ricchi di tannini, sono usati per contrastare la diarrea.
Per uso esterno, possono essere utilizzate con cataplasmi di foglie per la cura di dermatiti, affezioni cutanee, foruncoli. Le foglie forniscono colorante giallo, il rizoma, invece, rosso. Da non dimenticare però la presenza, in tutto il genere Rumex, anche dell’acido ossalico, che come è noto è presente anche nell’amaranto, negli spinacini selvatici, nella bieta selvatica e nella portulaca. Ed è noto che esso, coniugandosi con il calcio, crea ossalati di calcio che a loro volta non rendono il calcio biodisponibile. La romice è quindi sconsigliata a chi ha problemi di gotta, diuresi e calcolosi e, se proprio qualche volta se ne vuole degustare il sapore, si può consumare cotta e in piccole quantità.
La specie di Rumex più apprezzata nella nostra cultura etnobotanica è la Rumex acetosa L., conosciuta con il nome comune di acetosella, specie commestibile officinale con proprietà antiscorbutiche, astringenti, rinfrescanti, depurative, diuretiche e lassative. In passato, i bimbi che abitavano in campagna staccavano le cime della romice per masticarle e per gustarne il succo leggermente acidulo che ricorda la buccia delle prugne. Impiegata, grazie alle proprietà depurative e drenanti, nella cura delle malattie cutanee quali l’acne, le pelli grasse e le punture degli insetti, viene usata anche in caso di eccessiva sudorazione e alitosi. Le foglie fresche, sminuzzate e applicate sul viso, hanno effetto astringente sui pori dilatati. In cucina le foglie giovani e fresche possono essere impiegate per insaporire insalate, minestre, formaggi molli, frittate, per acidificare e dare colore alla maionese o alle pastelle per fritture. Ridotte a purè, possono essere impiegate nella preparazione di salse, da accompagnare a pollame e pesce. Era cibo comune presso Egizi, Greci e Romani. Ancor oggi in Egitto e in Francia è coltivata ed appare spesso sulle tavole. Le foglie si usano fresche, raccolte quando la pianta è ancora tenera onde evitare il sapore acre che assumono in seguito.
Il succo può essere efficacemente impiegato per togliere la ruggine, la muffa e le macchie d’inchiostro da lino, lana, argento e vimini. Una particolarità di questa pianta è che è incompatibile con le acque minerali e con i contenitori in rame e in metallo in genere. In passato, in mancanza di pentole in acciaio inossidabile, smaltate o di vetro, si raccomandava di non tagliarla o cuocerla con utensili di ferro per non farle prendere sgradevole sapore metallico. I mandriani erano soliti consumare sul posto le foglie crude, accompagnate da pane di segale.

Presidente Accademia Piante Spontanee