Semi di finocchio e vino rosso a regalare aroma e colore. E carne di maiale tritata, la migliore.
La Finocchiona toscana si presenta e racconta la sua terra, di quando i norcini, per eliminare il più raro e costoso pepe, ricorsero a quello che avevano di più diffuso nei campi e nelle colline, il finocchio selvatico. Nella macchia maremmana di boschi di querce e castagni, nell’antica Etruria, i suini vivevano allo stato brado per fornire la carne per gli insaccati.
La Finocchiona fu talmente apprezzata e amata da diventare la regina delle tavole nobiliari e delle osterie. Nel 1875 viene citata nel Vocabolario della lingua parlata di Rigutini e Fanfani; entra successivamente a far parte del Dizionario Pirro Giacchi e persino il Vocabolario degli Accademici della Crusca, edizione 1889, sottolinea il suo legame con la Toscana. Infine la Treccani nel 1956 la inserisce come «salume tipico toscano» nel Dizionario Enciclopedico Italiano.
Nel Chianti popolare si racconta che i contadini toscani per nascondere eventuali difetti dei loro vini usassero insaporire la ricetta della finocchiona con una quantità maggiore di semi e fiori di finocchio, così anche i vini meno pregiati e di qualità scadente, dopo una fetta di pane e finocchiona, diventavano più buoni. Per questo motivo nell’uso comune «non lasciarsi infinocchiare» ha assunto il significato di non farsi imbrogliare.
La tradizione vuole venga accompagnata dal tipico pane toscano e da un buon bicchiere di Chianti. Viene infatti da lì la Finocchiona e i due Comuni di Campi Bisenzio e Greve in Chianti si contendono i suoi natali. Si gusta, questa regina del tagliere, seduti al tavolo di un vinaio o di un’osteria, con due fette di pane sciocco e pecorino fresco, col suo inconfondibile sapore e la sua avvolgente morbidezza.
Assaggi golosi: con la schiacciata all’olio se siete a Firenze, con il ciaccino se vi trovate a Siena, ma anche abbinata a verdure cotte come spinaci e cavolo nero. Viene ricavata da parti selezionate di suino pesante (anche di cinta senese) che vengono macinate insieme, miscelate con vino rosso e trattate con sale, pepe, finocchio e aglio. Un gusto sopraffino che viene insaccato in un budello naturale e lasciato stagionare per almeno cinque mesi. La variante più famosa è la sbriciolona, che ha una stagionatura di appena 3-4 settimane. La pasta è più grossolana e così morbida da sbriciolarsi sotto l’azione del coltello. Nel 2015 è nato il Consorzio di Tutela della Finocchiona IGP.