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La ghianda di Zeus, i castori e le castagne castrate

C'è una metafora all'origine del nome

«Gli autori dei vecchi libri di agricoltura, essendo altamente istruiti, non usavano i nostri nomi quotidiani per i frutti. Usano termini come Noce Regia o Noce del Ponto, o anche Ghianda di Zeus.
Per noi è necessario spiegare questi e altri antichi termini:
Noce Regia (karion basilikon) è ciò che chiamiamo semplicemente noce (karyon)
Noce del Ponto (karion pontikon) è la nostra nocciola (leptokaryon)
Ghianda di Zeus (Dios balanos) è la castagna (kastanon)»
Queste definizioni provengono dalle Geoponiche, un prontuario greco di agricoltura di epoca bizantina ma basato su fonti più antiche, dove si vede che la ghianda di Zeus era la metafora usata per indicare la castagna. I Romani invece usarono la stessa metafora, ghianda di Giove (Zeus in latino), per indicare la noce che infatti chiamavano iuglans, contrazione appunto di Jovis glans.
Per battezzare il noce, il buon Linneo si è dunque trovato davanti a fonti contraddittorie e così, salomonicamente, ha definito il genere col nome latino, iuglans e la specie con l’aggettivo regia, che è evidentemente la traduzione del greco basilikon (karion) ricordata dalle Geoponiche.
Con Iuglans regia, Linneo ha assegnato definitivamente al noce e al suo frutto la metafora della ghianda, limitandosi a ricondurre il castagno al genere del faggio: Fagus castanea. Ma i botanici hanno invece adottato Castanea sativa, la definizione dell’altro grande classificatore settecentesco, Miller. Resta il fatto che il latino castanea viene dal greco kastanon.
Tra i tentativi di spiegazione del latino castanea, spicca quello di Isidoro di Siviglia, che lo riconduce al greco chastania, allusione alla castrazione: i frutti sono come coppie di testicoli che vengono espulsi dal loro involucro. Sullo sfondo di questo pensiero, sorge l’antica favola del noce che si lamenta di essere percosso dai passanti affinché lasci cadere i suoi frutti: il castagno evita le percosse perché «si castra da solo». Questo tentativo di spiegazione è connesso a sua volta con la falsa etimologia di castoro, anch’essa ricondotta al verbo castrare. Due ghiandole poste sotto la coda di questo animale secernono il castoreum, un liquido che era ricercatissimo nell’antica farmacopea per le sue virtù terapeutiche. La caccia al castoro era dunque assai praticata e stimolò la leggendaria origine del nome: si credeva che il maschio si castrasse con i suoi denti per salvarsi la pelle (metafora più metafora meno), mostrando ai cacciatori di essere ormai privo degli attributi per i quali veniva tanto braccato. Di conseguenza, sentenzia Isidoro: «castores a castrando dicti sunt» (son detti castori dal castrare).
Sullo sfondo di queste note sul nome della castagna, non sfuggirà insomma al lettore l’origine antica della metafora che accomuna i marroni alle note ghiandole maschili; e ci fa un po’ rabbrividire quando, per fare caldarroste, ci accingiamo a castrare le castagne.

Docente del Corso di Laurea Ecocal dell'Università degli Studi di Perugia