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Spezzatino di capriolo o prosciutto di cervo? Le insidie nascoste nella foresta di Bambi

Una bagarre linguistica

Nel 1923 Felix Salten pubblicò in Austria il romanzo Bambi, la vita di un capriolo. Meno di un ventennio dopo, la Disney ne ricavò il celebre film animato che ha deliziato generazioni di tutto il mondo, dove il protagonista è però un giovane cervo e non più il capriolo dell’opera originaria. Non c’è dubbio che nell’immaginario collettivo dei bambini (che è poi la parola italiana che ha ispirato Salten) Bambi sia quel cerbiatto che diventa un poderoso cervo, il Principe della Foresta dalle maestose corna ramificate; caratteristiche, la stazza e la forma delle corna, estranee ai caprioli. Pare che il cambio di specie animale da parte di Disney sia dovuto all’assenza del capriolo nel continente americano, dove invece era ben noto il cervo a coda bianca.
Occorre riconoscere che questa scelta rende ancora più difficile distinguere tra cervi e caprioli, come nel caso del tedesco, lingua originaria del romanzo: Rehkitz si trova comunemente tradotto nel web con cerbiatto mentre significa appunto piccolo di capriolo (Reh). Confusione che evidentemente proprio l’adattamento disneyano ha contribuito ad alimentare.
Ma in Italia, in genere, siamo abituati a distinguere tra i due cervidi. E questo, se da un lato ci fa facile preda dell’amico sadico e burlone che ci dà del mangiatore di Bambi davanti a un prosciutto di cervo, ci lascia gustare in pace uno spezzatino di anonimo capriolo. La sua carne è sempre stata, del resto, molto apprezzata e nei ricettari medievali si consiglia, ad esempio, di cuocerla ben condita e speziata «nel coppo», un involucro di pasta dura da ripassare al forno.
Un’altra ricetta prevede una complicata triplice cottura: bollito, poi arrosto lardellato, infine una ripassata in tegame con cipolle soffritte in una miscela di ben nove spezie nella versione per «ricchi e potenti», o solo (si fa per dire) con tre once di pepe e cannella, per uomini «semplici e mediocri». Come dire che era comunque indispensabile abbinare a quella carne i condimenti giusti, spesso più costosi della materia prima. Ci torna così in mente il cinghiale che il poeta latino Marziale ricevette dall’amico Dexter e che dovette rimandare al mittente perché serviva troppo pepe per cucinarlo degnamente. Certamente lo stesso Marziale avrebbe avuto problemi economici anche per condire un capriolo (caprea) che il gastronomo Apicio voleva in elaborate salse a base dell’immancabile piper, il pepe.
Problemi antichi da nulla, a pensarci bene, specie se confrontati col rischio di oggi di mangiare un animale familiare, per quanto immaginario. In conclusione, il cervo ringrazia Disney. E il capriolo dovrà farsene una ragione.

Docente del Corso di Laurea Ecocal dell'Università degli Studi di Perugia