Selvaggina di qualità? Non sempre
Consigli per conservare e individuare la migliore carne di capriolo
SELVATICO-QUALITÀ, UN BINOMIO CHE NON È SEMPRE SCONTATO
Il fatto che un animale sia cresciuto in natura non deve trarre in inganno: la qualità della sua carne dipende sia da fattori intrinseci, sia estrinseci. Innanzi tutto l’età e il sesso: gli esemplari di 1 o 2 anni sono considerati i migliori per tenerezza della carne, sempre considerando che quella dei maschi sarà più tenace di quella delle femmine. A maggior ragione andrebbe evitata l’uccisione – e conseguente consumo – dei maschi durante il periodo dell’accoppiamento. Sono importanti, chiaramente, anche lo stato di salute dell’animale e l’entità della ferita che lo ha ucciso.
COME RICONOSCERE UNA CARNE CORRETTAMENTE CONSERVATA?
Innanzi tutto non deve presentare parti scure o macchie di colore metallico. Deve avere un odore discreto, per niente acre, e deve essere ben frollata. Mettendola sottovuoto, la si può conservare in frigo fino a quattro settimane, mentre nel freezer si può mantenere per un anno.
VALORIZZARLA IN COTTURA
Come altra selvaggina, sottoporre la carne del capriolo a marinatura consente di attenuarne il forte sapore. La prima cosa da fare è liberare i muscoli dai tendini, per favorire il passaggio dei sapori. Nella remota possibilità in cui ci fosse del grasso, è opportuno rimuoverlo perché tende a irrancidirsi facilmente e apporta al boccone un sapore troppo intenso. Dopodiché si procede con la marinatura a crudo: la carne viene ricoperta con una soluzione di vino rosso e acqua o di vino rosso e bianco, e vi vengono aggiunte carote, cipolle, sedano, alloro, bacche di ginepro, rosmarino e spezie preferite. Il sale, almeno in questa fase, va evitato perché favorisce la fuoriuscita di liquidi. La carne dovrà restare così per due giorni, al termine dei quali verrà cotta senza tale marinatura o, a limite, con una quantità minima. Il tipico capriolo alla valdostana, per esempio, alla fine di questo processo viene rosolato con la grappa e poi cotto con un po’ di marinatura e sugo di pomodoro. Ma è un unicum: per il capriolo si predilige la cottura in bianco, magari con le erbe aromatiche richieste dalla tradizione.