Nella storia dell’alimentazione, diversi prodotti hanno avuto un ruolo molto importante in alcune società, ma a causa di un cambiamento di costumi e/o delle tecnologie, hanno conosciuto un forte calo, fino a essere dimenticati o riservati al bestiame. A volte il colpevole del declino o della scomparsa è l’arrivo di un prodotto alternativo. Il farro offre l’interessante caso di un bene alimentare che è passato da prodotto base nella cucina di una società a quello di cibo per animali, per tornare finalmente negli ultimi anni a essere un prodotto di nicchia particolarmente ricercato.
Nel Medioevo, come il grano, il farro subì una diminuzione sia del consumo sia della superficie coltivata. Mentre per il frumento si tratta solo di una riduzione temporanea, per il farro il continuo declino in epoca moderna si aggravò alla fine del XVII secolo, in correlazione con la diffusione del mais in arrivo dal continente americano. Il farro diventa un cereale marginale, relegato nei terreni montuosi poveri di nutrienti o meno soleggiati. Le statistiche del XIX secolo dimostrano che la coltivazione del farro si era drasticamente ridotta fino a quasi scomparire. Non soltanto nelle regioni dove l’agricoltura era più sviluppata, come la Lombardia, ma anche nelle vallate della dorsale appenninica. Il farro non viene quasi mai menzionato e quando ciò accade si segnala che la sua presenza è molto rara e che è una pianta conosciuta solo da esperti in agronomia.
Nella prima parte del Novecento, nelle campagne italiane non c’era spazio per il farro, tranne in piccole porzioni nelle regioni di montagna. Infine, a partire dagli anni Cinquanta, il farro perse anche la sua funzione di nutrire il bestiame negli allevamenti più piccoli e più poveri a causa dell’arrivo di foraggi basati su nuovi semi, volti a migliorare la resa del latte e ad accelerare la crescita del bestiame. Se fino agli anni Sessanta, nell’ambito di una dieta povera, il minor apporto calorico del farro rispetto ad altri cereali più nutrienti portava alla sua graduale sostituzione, la società dei consumi di massa, al contrario, con il suo problema del sovrappeso, lo sta riscoprendo. Il farro, infatti, è tornato gradualmente sulle tavole degli italiani a partire dagli anni Settanta proprio per le sue caratteristiche dietetiche. Si tratta quindi di un vero e proprio rinascimento per questo cereale, che testimonia un grande cambiamento nella cultura alimentare all’interno della società italiana.
Da segnalare inoltre che, oltre alle caratteristiche intrinseche del farro, esiste un’operazione di commercializzazione molto efficace che lega questo cereale al passato. Così, in Toscana, il Farro della Garfagnana ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta, mentre in Umbria il Farro di Monteleone di Spoleto ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta. Va infine ricordato che nel nuovo millennio la produzione italiana di triticum spelta continua a rimanere molto limitata perché costituisce la varietà di cereale meno adatta al clima italiano.
Allo stesso tempo grande parte della produzione italiana viene esportata per soddisfare la domanda di mercati in cui il farro è molto richiesto. Tutto ciò, agli inizi del XXI secolo, testimonia l’esistenza di un mercato internazionale per un prodotto tradizionale soggetto a controlli e denominazioni territoriali.