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Alimentazione plant-based come scelta consapevole

Intervista a Nina Gigante, giornalista freelance, che si occupa di alimentazione, cucina e viaggi

Se parliamo di alimentazione plant-based, non possiamo non pensare a Nina Gigante, giornalista freelance, che si occupa di alimentazione, cucina e viaggi per diverse riviste nazionali, tra cui Donna Moderna, Starbene, L’Inkiesta Gastronomika, NaturalStyle. Un percorso formativo a 360 gradi che l’ha portata a studiare Nutrizione Olistica in Inghilterra e a lavorare come chef di Cucina Naturale a Londra e Barcellona.

 

Da tempo lei si occupa del mondo Veg, scrivendo e raccontando per importanti testate italiane di progetti, personaggi ed esperienze legate a questo mondo che sta riscuotendo sempre più attenzione e interesse. Pensa che la ristorazione sia preparata a soddisfare le richieste di questo segmento di consumatori?

Io non mangio carne da quando avevo 17 anni (e ne ho quasi 40!): in tutto questo tempo, ne ho visti di tutti i colori. Finalmente le opzioni per chi non mangia carne sono tantissime e non più destinate a una nicchia. Basta dare un’occhiata ai menù, dove fioriscono sempre più proposte vegetariane e inclusive, e fare un giro tra gli scaffali dei supermercati, ormai pieni di burger, polpette, macinato veg. L’ultimo rapporto Coop sui consumi degli Italiani parla chiaro: scegliamo cibi sempre più sani, possibilmente bio, veg e meat free (+30%). Durante questi anni pandemici, siamo tornati in cucina ma non per tutto: calano i cibi pronti, crescono solo i pronti vegetali, pratici, veloci e soprattutto, come promettono sulle confezioni, ricchi di proteine verdi, uno dei trend dell’anno. Sarà anche per questo che piacciono a tutti, non solo alle nicchie vegetariane e vegane del mercato: secondo la società di consulenza Mintel, il 98% di coloro che li mettono nel carrello sono onnivori che vogliono aumentare la quota di proteine verdi nella dieta, per salute e sostenibilità.

 

Da giornalista di settore nel mondo del Food, come deve essere organizzato e cosa deve avere il suo ristorante perfetto?

«Quello che cucini sta cuocendo il pianeta» titolava l’Atlantic qualche mese fa. Non basta andare in giro a piedi, comprare un’auto elettrica, ricordarsi di spegnere le luci: se vuoi davvero dare una svolta eco alla tua vita, la rivoluzione deve partire da quello che metti in tavola a casa tua e da quello che scegli quando pranzi e ceni fuori. Come si dice, la Rivoluzione non si fa più con lo scontro, ma con lo scontrino. Per questo, il mio ristorante perfetto è waste free, come si dice all’estero, a spreco zero. Un’utopia? Non credo: basta che, dagli acquisti alla lavorazione alle porzioni, tutto sia investito dall’utilizzo consapevole di ogni alimento. Non mi spiace ritrovare nel menu più volte lo stesso ingrediente vegetale, per esempio: non lo attribuisco alla mancanza di creatività dello chef, ma come un modo di sfruttare al massimo quello che di stagionale il mercato ha da offrire. Sostenibilità, stagionalità e zero sprechi sono quindi gli ingredienti fondamentali per il mio ristorante perfetto, insieme a una sostanziosa proposta vegetale, e non solo per una questione di gusto. Cereali, legumi, verdure e frutta hanno un impatto infinitamente minore della carne: basti pensare che per ogni kcal di energia fornita dalla carne rossa, impieghiamo 57 kcal di energia fossile per allevarla e farla giungere fino al nostro tavolo. Il rapporto scende a 1:37 kcal per le uova e a 1:4 per i pomodori. Significa che non dobbiamo più mangiare o ordinare carne? No di certo. Ma è necessario essere consapevoli di questi dati quando lo chef la propone e quando noi la ordiniamo: sprecandola, non stiamo sprecando solo qualche grammo di carne di manzo, ma anche le migliaia di litri di acqua che sono state necessarie per farla arrivare fino al nostro piatto. Trovo interessanti quei ristoranti, come il Vermeer Restaurant di Amsterdam, in cui oltre ad azzerare gli sprechi (i gambi legnosi del rabarbaro diventano amuse bouche e la buccia delle arance un insaporitore), si abbraccia una filosofia di riduzione delle proteine animali nella composizione dei piatti, rendendo le verdure protagoniste delle portate e lasciando a carne e pesce il ruolo di “contorno”, anche in termini di porzioni e grammature.

 

In questo numero di Orizzonte si parla di farro e i legumi sono alla base del Veg Food. Stiamo veramente andando verso la sostenibilità e l’utilizzo etico della terra o in alcuni casi è più un voler seguire una tendenza della ristorazione moderna?

Mangiamo tutti almeno tre volte al giorno: il cibo è qualcosa che riguarda tutti, sempre, ha una valenza politica, etica, di racconto di quello che siamo e siamo stati. Io voglio sperare che la sostenibilità – dalla produzione alla ristorazione al consumo casalingo – non sia solo una tendenza ma, finalmente, l’unica opzione possibile. E che sia qui per restare. Il rispetto dei luoghi, dei tempi e del lavoro umano connesso alla produzione agricola non è più una scelta ormai: i decenni di sfruttamento cieco di terra e bestiame ci si sono ritorti contro e il pianeta ci ha fatto capire in ogni modo di non poter tollerare altri abusi. Si tratta di recuperare un sapere antico supportandolo con le più moderne tecnologie agricole. Inoltre, tornare a cibarsi di cibo vero, come il farro o i legumi che citate, permette non solo di valorizzare i prodotti che per millenni hanno costituito la base dell’alimentazione umana, ma anche di nutrirci in modo più sano. Secondo uno studio monumentale della prestigiosa rivista Lancet, l’alimentazione che permette di salvaguardare la salute del pianeta è quella che salvaguarda anche la nostra salute: «la dieta che salva» il pianeta – maggior consumo vegetale, ridotto ricorso a proteine animali – è quella che salva anche noi, da obesità, diabete di tipo 2, infiammazione cronica e malattie collegate alla malnutrizione. La buona notizia è che per non è difficile da seguire, soprattutto per noi Italiani. È simile alla vera dieta mediterranea, quella delle origini.

 

Il suo piatto vegetale del cuore?

Più che un piatto, parlerei di un mondo. Il mondo di Yotam Ottolenghi, “l’uomo che ha reso sexy le verdure” come ha detto il Guardian di cui è columnist. Negli anni in cui vivevo in Inghilterra, il celebre Nopi di SoHo ma anche i più informali bistrot di Spitalfield e Islington sono stati la mia mecca la mia mecca. Dai ricchi primi piatti alle insalate ai dolci, Ottolenghi pone le verdure al centro di tutto: esaltandole con tecniche di cottura di solito riservate a carne e pesce, che sono comunque presenti nei menù, ma non costituiscono la portata principale. La filosofia new vegetarian di questo chef rispecchia la mia, in pieno: portare l’alimentazione plant-based fuori dalla cerchia dei consumatori vegani e farne una scelta gourmet, salutare e sostenibile per tutti gli onnivori consapevoli.