Del finocchio selvatico non si butta via nulla
Tutte le caratteristiche, i benefici e gli impieghi di questa famosa erba
Una delle rarissime piante erbacee che riesce a sopravvivere a estati calde e siccitose è il finocchietto selvatico o finocchietto, di cui a settembre avremo raccolto sia i fiori sia le caruselle, cioè i suoi frutti verde-grigio.
Il finocchio selvatico (Foeniculum vulgare, Mill.), pianta principe della famiglia delle Umbelliferae o Apiaceae, è perenne, ha il fusto ramificato ed è alta fino a 2 m. Possiede foglie che ricordano il fieno (da cui il nome del genere: Foeniculum), di colore verde e in estate produce ombrelle di piccoli fiori gialli. Seguono i frutti (acheni), prima verdi e poi grigiastri. Del finocchio selvatico si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti, chiamati anche semi. La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene appena il fiore è aperto, normalmente da fine agosto sino a settembre inoltrato. Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all’aperto, alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli oli essenziali. Questa pianta è nota per l’elevato contenuto di fitoestrogeni che si comportano come una sorta di estrogeni naturali e aiutano a mantenere il giusto equilibrio degli ormoni femminili: per questo è ritenuta molto efficace e utile per l’incremento della produzione di latte. Ha il beneficio di stimolare la diuresi, favorire la digestione e combattere la fermentazione intestinale. Si può consumare cotto, crudo o sotto forma di tisana, in insalata, come contorno per carne e pesce, utilizzando anche solo i semi per aromatizzare i nostri piatti.
In fitoterapia si utilizzano i frutti secchi o l’olio essenziale. Contiene anetolo (da cui dipende il suo aroma), fencone, chetone anisico, dipinene, canfene, fellandrene, dipentene e acido metilcavicolo. L’uso principale (come per le piante simili, anice verde e carvi) è quello carminativo, poiché aiuta a eliminare i gas intestinali e contemporaneamente ne previene la formazione. Pertanto è utilizzato per chi ha difficoltà digestive, aerofagia, e può essere utile per ridurre la componente dolorosa della sindrome da colon irritabile. Sono state riconosciute al finocchio qualità di emmenagogo (in grado di stimolare l’afflusso di sangue nell’area pelvica e nell’utero, e, in alcuni casi, di favorire la mestruazione), diuretico, antiemetico (diminuisce nausea e vomito), aromatico, antispasmodico, antinfiammatorio, tonico, epatico.
Del finocchio selvatico, chiamato in cucina anche finocchina o finocchietto, si usano i fiori freschi o essiccati, i frutti o diacheni, le foglie o barba. I rametti più o meno grandi sono utilizzati in particolare per cucinare le lumachine di mare o per conciare le olive sotto sale, accompagnati da peperoncino e aglio; le foglie si usano fresche e sminuzzate per insaporire minestre, piatti di pesce, insalate e formaggi: nella pasta con le sarde, nota ricetta siciliana, le foglie del finocchio selvatico sono uno degli ingredienti essenziali. I fiori si usano per aromatizzare le castagne bollite, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di maiale (in particolare la porchetta umbra). I frutti si usano soprattutto per aromatizzare ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo o tisane. Fanno inoltre parte della ricetta di un biscotto tipico del Piemonte, il finocchino. È in uso, nelle regioni costiere del Tirreno, un liquore di finocchietto, per il quale si utilizzano i fiori freschi, e/o i semi e le foglie. Da provare sono anche i finocchi gratinati alle nocciole, un contorno sfiziosissimo e leggero da preparare in poco tempo.
Infine, una curiosità: l’espressione «lasciarsi infinocchiare» deriva dall’abitudine dei cantinieri di offrire spicchi di finocchio orticolo a chi si presentava per acquistare il vino custodito nelle botti. Il grumolo del finocchio, infatti contiene sostanze aromatiche che modificano leggermente la percezione dei sapori, rendendo saporito il successivo assaggio di un vino di qualità scadente o prossimo all’acetificazione.
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