Chissà se l’hamburger che il killer Vincent Vega (Samuel L. Jackson) assaggia di fronte alla sua vittima sia di Black Angus? Non lo sapremo mai, quello che è noto è che la scena è una delle più iconiche del capolavoro di Quentin Tarantino, Pulp Fiction, e non è difficile capire il perché: i due malavitosi (l’altro è John Travolta, ma davvero c’è bisogno di dirlo?) sono appena giunti nell’appartamento delle loro tre vittime designate e, per regolare un conto per ordine del loro boss Marcellus Wallace, tra un lungo discorso incentrato su un massaggio ai piedi (?!) e la recita di un passo della Bibbia (inventato), si apprestano, in un magistrale crescendo di tensione, a compiere la carneficina.
Quell’hamburger è probabilmente il più famoso della storia del cinema e la bizzarra sequenza è il pretesto per presentarci due dei protagonisti. Già, perché Pulp Fiction, uscito nel 1994, è un film corale, interpretato da un buon numero di grandi attori (Bruce Willis, Uma Thurman e Harvey Keitel tra gli altri).
Inoltre la vita di Tarantino sembra un sogno: da semplice impiegato in un videonoleggio, può vedersi gratuitamente – e quindi studiare attentamente – tutti i film che vuole. Si appassiona in particolare a molti dei meno noti, tra i quali anche film nostrani di genere, dai poliziotteschi e spaghetti western fino ai cosiddetti gialli all’italiana, alcuni dei quali annovera senza pregiudizi tra i migliori di sempre (e ne citerà parecchi nella sua filmografia). Forte di questa enorme e particolare cultura cinematografica, decide di mettersi dietro la macchina da presa e, già dal primo film – Le Iene – si fa notare, dimostrando enorme talento e una grande padronanza del mezzo cinematografico. Ma è col secondo, Pulp Fiction appunto, che il nome di Tarantino diventa famoso a livello mondiale, e non solo per via della Palma d’Oro a Cannes (agevolata, bisogna dirlo, dall’allora presidente della giuria Clint Eastwood), ma anche perché la pellicola è effettivamente impeccabile: lo stile è già definito, i dialoghi pulp, ispirati alla letteratura di genere noir e spesso ai limiti del surreale sono curatissimi, il montaggio è innovativo e la regia dinamica, con salti temporali ricorrenti e personaggi indimenticabili (chi non ricorda il mitico Mister Wolf che risolve problemi?). Ma abbondano anche, ahimè, violenza e scurrilità.
Ancora oggi ogni nuovo film di Tarantino è un evento, ma ormai è una consuetudine a cui siamo abituati; quel secondo film però, all’epoca, arrivò come un fulmine a ciel sereno e ci presentò un vero e proprio maestro.