Orientarsi sul significato di ricotta è piuttosto facile: tolta la massa cagliata per farne formaggio, il siero si riscalda ad alta temperatura, cioè si ricuoce, e ne viene a galla la ricotta. Tutto chiaro, apparentemente. Se si cominciano a leggere le centinaia di pagine web dedicate alla storia di questo prodotto collaterale al formaggio, però, si scoprono affermazioni che suscitano qualche perplessità. Si sostiene, ad esempio, che la ricotta figuri nell’Odissea tra i prodotti caseari realizzati da Polifemo. In verità, nell’antro del Ciclope, Omero ci mostra una serie di vasi ricolmi di siero (oròs), ma non è affatto detto che questo sia destinato a fare ricotta. In altro passo del poema, infatti, lo stesso liquido è indicato come bevanda e, soprattutto, nella scena che mostra Polifemo mungere il gregge e cagliare subito metà del latte, l’operazione si svolge a temperatura ambiente; dunque non si cuoce né ri-cuoce alcunché. Il fuoco verrà acceso solo dopo, per illuminare l’antro per la cena, e sarà solo allora che Polifemo si accorgerà della presenza di Ulisse e compagni.
Se dunque la ricotta di Polifemo è una mera ipotesi, quella che si attribuisce a Columella e a Galeno è addirittura inesistente. Si afferma che Greci e Romani conoscessero la ricotta col nome di oxygala, tanto è vero che nel disciplinare della ricotta romana si legge: «Galeno che al cap. XVII del libro degli alimenti Della natura et vertù dei cibi (1572), precisa ciò che presso Galeno ed i Greci era detto oxygala è ciò che noi, ora chiamiamo ricotta». Ma, a parte l’evidente svista di un «Galeno che[…] precisa ciò che presso Galeno», annotiamo che è palesemente erronea: Galeno è il celebre medico greco del II secolo, pilastro della scienza medica antica e medievale. Al capitolo XV (non XVII) del III libro della sua opera Sulle proprietà degli alimenti (che evidentemente non è del 1572), in effetti si parla dell’oxygala, che in greco indica semplicemente latte acido (e forse lo yogurt).
Un secolo prima di Galeno, l’agronomo romano Columella aveva descritto la preparazione dell’oxygala, utilizzando il nome greco in mancanza di termine analogo latino: lasciare inacidire per giorni il latte aromatizzato con erbe, spurgarlo periodicamente del siero e salarlo alla fine. Tutto a freddo. Risulta dunque erronea la citazione e infondata l’affermazione che l’oxygala greca sia la nostra ricotta.
Quanto alla ricotta romana, sarebbe forse stato più utile rivolgersi al poeta Marziale, che cita la massa recocta velabrensi foco (una massa ricotta al fuoco del Velabro). Sappiamo che il Velabro era un quartiere di Roma noto per un formaggio caprino affumicato (v. Orizzonte IX,2) e Marziale usa in altra occasione la parola massa (lactis alligati) proprio in ambito caseario. Dunque una massa recocta sembrerebbe proprio la più antica attestazione della parola nel senso che ci interessa: un coagulo di massa lattea rappreso per ri-cottura. Il condizionale è d’obbligo poiché alcuni codici manoscritti che ci hanno tramandato Marziale recano massa coacta (rappresa) invece di recocta e dunque rimarremo col dubbio di questa più antica attestazione latina. Quanto alla Grecia, oggi ha il Manouri, l’Anthotyros e la Mizithra, classificati come prodotti da siero di latte (tyrogala) riscaldato ad alte temperature, con o senza aggiunta di acidificanti. Si noti che il termine moderno per siero di latte è tyrogala (e non più l’oròs di Omero). Ma tyrogala, condito con miele, compare già in Galeno come rimedio; che sia proprio questo uno degli antichi nomi della ricotta greca?