A cena coi protagonisti della II Guerra Mondiale
Nascita delle cucine regionali e del Made in Italy
Con questo sesto articolo siamo giunti all’epoca del Fascismo, volto al raggiungimento dell’utopia autarchica e dell’autosostentamento, al punto di promuovere fortemente l’idea della cucina regionale e locale. Dagli anni Trenta infatti proliferano manuali e libretti sulle varie cucine regionali, così come i primi concorsi di gastronomia locale. Ne è un esempio il volume Panorama Gastronomico d’Italia, resoconto della prima Settimana della Cucina, forse il primo concorso gastronomico d’Italia, tenutosi a Bologna fra il 19 e il 27 maggio 1935. Ogni giornata iniziava con un discorso di un relatore-cuoco che illustrava i pregi della specifica cucina regionale in concorso. Per 9 giorni, 7 giurati assaggiarono a pranzo e cena i piatti tipici delle cucine regionali, votando poi la migliore. La principale conseguenza di tale strategia è la nascita di quel concetto che sarà poi il Made in Italy, senza contare la riscoperta e rivalutazione, in chiave non solo di sopravvivenza, della cucina popolare e povera. La dieta mediterranea, pur favorita dagli studi medicinali americani del dopoguerra, ha una premessa fondamentale, ovvia e chiarissima, nella politica autarchica dell’Italia fascista. Autarchia anche nella lingua: il fascismo bandisce non solo ingredienti e ricette estere, ma anche i termini stranieri, per evitare ogni tentazione. In questo caso non possiamo non dedicare un pensiero ai Futuristi. Chi altri potrebbe infatti invitarvi al Quisibeve dove, preceduti dal Guidapalato, un solerte Mescitore ci servirà un’Inventina o una Polibibita che ci preparerà lo stomaco per un Pranzoalsole? Non preoccupatevi, volevo soltanto offrirvi un cocktail al bar, aperitivo per un buon pic-nic! Non mi sono inventato nulla, ho solo usato il Piccolo Dizionario della Cucina Futurista dove, fra numerose immaginifiche ricette, si propongono altrettanto paraboliche sostituzioni di termini stranieri.
E i protagonisti della Seconda Guerra mondiale? Poche sono le curiosità che legano Mussolini e la cucina: pare che il suo piatto preferito fosse una semplice insalata condita con aglio, olio e succo di limone, e a far scarpetta un buon tozzo di pane integrale. Quanta realtà e quanta propaganda? Di Hitler sappiamo fosse notoriamente un vegetariano. Ciò che è meno noto è che la scelta non fosse tanto attribuibile a motivi ideologici, quanto invece dalla sicurezza del dittatore che una dieta priva di carni avrebbe mitigato i suoi cronici problemi di costipazione e flatulenza. Una convinzione tanto radicata che, sul finire della II Guerra Mondiale, Hitler si sarebbe nutrito quasi esclusivamente di purè di patate e brodo vegetale. Il nazista, inoltre, aveva a disposizione un team di 15 assaggiatori per sincerarsi che il cibo ingerito non fosse avvelenato: a distanza di almeno 45 minuti dall’assaggio, se nessuno moriva, Hitler poteva consumare il pasto, anche se ormai freddo. Stalin era amante della cucina tradizionale georgiana ed era goloso di aglio, noci, prugne, melograni e vino. Nota, infine, la predilezione tutta anglosassone di Churchill per la zuppa di tartaruga.
Ma come terminò la guerra, gastronomicamente parlando? Numerose testimonianze di chi partecipò alla conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) fanno intendere che il gran consumo di vodka aiutò, e non poco, a trovare quegli accordi che riscrissero la geografia e le regole del mondo al termine della guerra. Probabilmente aiutò anche la soddisfazione gastronomica, a giudicare dal menu della cena tenutasi alla Vorontsov Villa la sera del 10 febbraio del 1945. Cena a cui parteciparono, fra gli altri, Roosevelt, Churchill e Stalin.
D’altronde la guerra è finita e si ragiona meglio a stomaco pieno!