Le sanzioni del 1935
Come arrangiarsi in tempo di privazioni
Un libro di ricette, apparentemente legato alla sola sfera culinaria, è in realtà il racconto collettivo delle esperienze di un popolo e delle sue tradizioni, ma anche quello di un preciso momento storico. È il caso delle sanzioni economiche contro l’Italia fascista: un’Italia che usciva dalla carestia della Grande Guerra e che stava appena ritornando dalla sopravvivenza alla vita. Le sanzioni economiche furono deliberate dalla Società delle Nazioni in risposta all’invasione dell’Etiopia, che portò alla conseguente Guerra d’Etiopia; esse rimasero in vigore dal 18 novembre 1935 al 4 luglio 1936. Come le fronteggiò il governo fascista? Semplice: con autarchia, propaganda e necessità patria.
Non vi è esempio migliore della commistione delle tre cose che il ricettario di Lidia Morelli, Le massaie contro le sanzioni, stampato e fatto circolare il 18 novembre 1935, stesso giorno dell’entrata in vigore delle sanzioni. I titoli dei capitoletti spiegano meglio l’aria che tirava: Prodotti esotici e manìe di esotismi; Non compriamo prodotti stranieri; Noi non aboliremo tutto il divertimento; Noi non aboliremo l’eleganza; Nel nostro Paese non regna la carestia; Non sciupate il pane; Non buttate via nulla. Di particolare interesse storico la lista completa degli ingredienti e dei prodotti di cui ridurre l’uso – «Carne di vitello, vitellino di latte, manzo, bue» – e la lista di quelli da eliminare completamente: «Caviale, liquori inglesi e scozzesi (bando al gin e al whisky!), terrinette o tubetti di fegato grasso, di selvaggina, di aringhe, di prosciutto (potted-ham) per la preparazione di tramezzini (sandwiches), estratto vegetale inglese Marmit […] Senapi inglesi, sottaceti inglesi, avena scozzese, prosciutti affumicati di York, tubetti di pasta di acciughe, acciughe e tonno sott’olio di Spagna e Portogallo, aringhe e merluzzo; formaggi olandesi e inglesi, biscotti inglesi, cioccolato svizzero, confetti inglesi, uva secca di Corinto e di Malaga, frutta estera di qualunque tipo, farine estere…». Praticamente qualunque cosa non prodotta in Italia. E i cibi da prediligere? Eccoli qua, pochi ma italici, e con relative proprietà: «Riso, riso, riso: sano, vitaminoso, gustoso e nutritivo se ben cotto e ben condito; ingrediente di cento e cento minestre, pietanze, dolci. Ceci, lenticchie, fagioli: farinacei che tengono provvidenziale luogo della carne, senza possederne le tossiche purine. Castagne: fresche, secche, ridotte in farina da consumare in polente, necci, castagnacci e torte. Polenta, che a gran torto si crede da tanti rustica e non nutriente; mentre da igienisti fu ed è provato che bastano una fetta di polenta e una di formaggio a costituire insieme un cibo completo. Pomodori, freschi e in qualsiasi preparazione: salse dolci e piccanti, conservati interi; già fu detto del loro massimo valore alimentare e terapeutico. Tutti gli ortaggi: se freschi, mangiati preferibilmente crudi, o con pochissima cottura ad acqua nulla o scarsa; se conservati (specie piselli, fagiolini, peperoni) in gran copia durante le stagioni di produzione mancante. Pollame, pesce fresco dei nostri mari, laghi, fiumi. Tutti i nostri formaggi, secchi e freschi. Dare a quest’ultimi la precedenza; sostituirli in grande abbondanza all’alimentazione carnea. Dolci casalinghi di pochi e semplici ingredienti: farina, zucchero, ova, burro. Uso sobrio di caffè, non perché sanzionato, ma perché estero e costoso». Nella stessa opera, Lidia Morelli propone anche interi pasti caldi e freddi.
Di straordinario interesse sono anche le riviste gastronomiche del periodo. La Cucina Italiana, l’allora più importante rivista gastronomica del Paese nata per valorizzare e divulgare le ricette tradizionali, offriva non solo decine di ricette, ma anche proposte per la tavola, regole di galateo, ricette personali di artisti e scrittori condite con racconti e poesie, rubriche di eleganza, cura del corpo e della casa. Il n. 12, Anno VII (1 dicembre 1935) è il primo fascicolo a essere stampato dopo il fatidico 18 novembre. Dopo 6 anni di uscite con l’esergo Giornale di gastronomia per famiglie e buongustai appare ora il più attuale e motivante Giornale delle famiglie e delle donne italiane: per la resistenza e la vittoria! Il normale layout è sostituito da Come si dovrà cucinare nel periodo delle sanzioni, in cui viene spiegato il funzionamento delle cassette di cottura (quelle risalenti al 1917) usate, per esempio, per cuocere la pasta asciutta: «La pasta asciutta non si deve più scolare! Si scola forse il risotto? Il caso è identico. L’egregio Prof. Baglioni calcolò in una tavola resa pubblica durante la grande guerra che non meno dell’8 per 100 delle sostanze nutritive si perdessero con lo scolare la pasta od il riso (il famoso riso in cagnon dei lombardi, che dovrebbe perciò proibirsi negli esercizi pubblici nonché nelle famiglie per un’autodecisione delle medesime). Ponete a fuoco, tre volte in più circa del peso della pasta, tanta acqua giusta di sale; al bollore calate qualsiasi qualità della stessa e 2 o 3 minuti dopo spuntato il bollore, mescolata che sia bene la pasta – a cui avrete aggiunto un pezzetto di burro od altro poco condimento grasso per impedire alla pasta che possa eventualmente ammassarsi – coprite bene il recipiente e racchiudetelo nella cassetta. Quindici o venti minuti dopo, a secondo della qualità od il punto di cottura che desiderate mangiare la pasta, scoprite la cassetta ed ultimate con il condimento caldo». Attenzione però, la cottura della pastasciutta è in realtà possibile anche senza l’utilizzo dell’ormai famigerata cassetta di cottura, sempre perché non si deve più scolare.
Ai buongustai non sfuggirà che questa pastasciutta antisanzionista somiglia pericolosamente alle varie pastasciutte risottate che molti superchef contemporanei ci propinano a prezzi altissimi come l’ultimo ritrovato di una certa cucina di ricerca e d’avanguardia…
UN ESEMPIO DI PASTO CALDO
Da Lidia Morelli, Le Massaie contro le sanzioni (1935)
Il piatto si compone di: Riso in bianco – Un quarto di pollo lesso – Sedani al sugo. Si cuoce, la sera, un pollo, e si lascia nel suo brodo. Si lessano i sedani, e si insaporiscono nel burro o nel sugo di carne. La mattina presto, prelevato circa mezzo litro di brodo, vi si fanno cuocere gr. 150 di riso vialone. Assorbito il liquido in cottura normale, si condisce con una buona noce di burro fresco e una cucchiaiata di formaggio grattugiato. Frattanto, si riscalda a parte il quarto di pollo della porzione, nel brodo rimasto. Si rimettono al fuoco i sedani, che non saranno che migliori, se si lasceranno un pochino gratinare. Si chiudono questi cibi, caldissimi, nel recipiente o nei recipienti isolanti.
TORTINO DI RICOTTA
Da La Cucina Italiana, n. 10, Anno VII
(1 dicembre 1935)
Mescolate sul fuoco tre cucchiaiate di farina gialla (non granita) con un buon ovo di burro e tanto latte da farne una besciamella. Quando è ben cotta, aggiungete 200 grammi di ricotta fresca, un po’ di sale, tre o quattro mandorle amare pestate, e tre cucchiaiate di zucchero. Si fa cuocere l’impasto fino a che si stacchi dal recipiente e formi una palla attorno al cucchiaio di legno. Quando è tiepido, vi si aggiungono due rossi d’uovo, e per ultimo le chiare montate. Si unge e si spolvera di pangrattato uno stampo liscio, vi si versa la miscela e si cuoce in forno o a bagnomaria
CHARLOTTE PER DIABETICI
Da La Cucina Italiana, n. 10, Anno VII
(1 dicembre 1935)
Fate una crema con un quinto di latte, 3 rossi d’uovo, 3 pastiglie di saccarina, 2 fogli di colla di pesce, rinvenuta nell’acqua fredda e poi strizzata, pochi grani di vaniglia e la scorza di un arancio grattata. Ungete di burro una forma da charlotte, della capacità di mezzo litro, rivestitela di pane integrale grattato e spruzzato – se il medico non ha nulla in contrario – di cognac. Si capisce che si dovrà grattare pane raffermo. Quando la crema sarà fredda unitevi un quinto di litro di panna montata con un tantino di vaniglina ed un pizzico di saccarina in polvere, rovesciate tutto nello stampo, e mettete questo sul ghiaccio. Al momento di sformare la charlotte immergete lo stampo nell’acqua tiepida