Molto probabilmente la caratteristica principale del ferrarese Filippo de Pisis fu quella di avere una personalità poliedrica, che lo portò a dedicarsi a prosa, poesia e pittura ai più alti livelli. A questo già non piccolo motivo di originalità affiancava anche un solido bagaglio culturale, favorito da un’ottima estrazione sociale: era infatti il marchese Luigi Filippo Tibertelli de Pisis, a volerne riportare la formula onomastica protocollare.
Questa corsia privilegiata gli consentì studi completi e regolari condotti nella natia Ferrara e all’Università di Bologna. La vastità degli interessi è ulteriormente confermata dall’erbario che mise insieme in giovane età, del tutto attendibile quanto all’identificazione di fiori e piante: non a caso la flora comparirà spesso nei dipinti per tutto l’arco della sua produzione.
Come varie erano le sfaccettature della sua personalità, così diversi e molto distanti furono i pittori a cui s’ispirò, partendo da Giorgio De Chirico, per passare a Carlo Carrà fino agli Impressionisti francesi, per ritornare negli anni più maturi indietro nel tempo, fino a risalire ai vedutisti veneti del Settecento, in particolare a Francesco Guardi. La costante volontà di confrontarsi con ambienti ed esperienze diverse lo portò a viaggiare di frequente e a vivere in diverse città e paesi. Al riguardo si segnalano soprattutto il lungo soggiorno parigino e poi quello londinese; ma abitò a Milano, Roma, Venezia e in molti altri luoghi ancora.
Dal punto di vista strettamente pittorico, se l’atmosfera trasognata dei suoi dipinti rimanda senza dubbio alla pittura metafisica, con gli altri artisti del Novecento condivide l’abbandono di gerarchie tematiche precostituite e l’assoluta libertà nella scelta dei soggetti: fra i suoi preferiti compaiono nature morte, paesaggi urbani, nudi maschili e inquietanti figure androgine, tutti trattati in modo non convenzionale.
È proprio in una molto singolare natura morta – un olio su tela firmato e datato 1926 – che s’esprime con maggior chiarezza questo atteggiamento. Su una spiaggia, che occupa quasi tutto lo spazio figurativo e lascia intravvedere appena due sottilissime strisce di mare e di cielo, stanno gettate in un disordine solo apparente – molto studiato invece – due tavole poco definite, per cui potrebbero essere sia tavolozze da pittore, sia semplici vassoi. Su queste due superfici, colorate una di celeste e una di giallo da piccole pennellate rapide, nervose e poco coprenti, tipiche della tecnica pittorica di de Pisis, si vedono alcune valve di conchiglia vuote e tre scampi. Il fatto che conchiglie e crostacei proiettino delle piccole ombre, fa sì che s’individui l’ora: è la luce accecante d’una tarda mattinata estiva.
Si tratta di cose modeste, non appariscenti, ma più che sufficienti ad attrarre l’attenzione del pittore e a metterne in moto la creatività. È uno dei tratti dominanti della pittura contemporanea: l’artista non opera agli ordini di un committente, ma in piena autonomia, per cui ritrae quello che colpisce la sua attenzione. Tre semplici scampi bastano e avanzano.
In copertina: Natura morta con scampi, Filippo de Pisis, Milano, Pinacoteca di Brera.