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Perle dal passato: la collezione di Rossano Boscolo

Nel cuore della Città Eterna, Rossano Boscolo ha raccolto 2500 volumi fra testi, trattati e ricettari.

Nel cuore della Città Eterna, Rossano Boscolo ha raccolto 2500 volumi fra testi, trattati e ricettari: uno spazio-libreria sarà presente anche durante i tre giorni della Convention, pronta a essere ammirata. 

Qual è la pietra miliare della collezione?
Prima di essere un collezionista, ero uno studioso: compravo libri antichi di cucina perché c’erano degli aspetti del passato che mi incuriosivano. Ho iniziato con terze, quarte o addirittura quinte edizioni, che hanno un valore minore rispetto alle prime, tipiche del collezionista. Piano piano, ho cominciato a prenderci gusto e così anche a cercare delle vere e proprie perle. 

Quindi nasce prima la biblioteca del museo.
Sì, nasce prima la biblioteca perché mi serviva per imparare. Sono sempre stato appassionato di antiquariato, giro per i mercatini da molto prima che mi interessassero gli stampi per budini (ride, ndr). Nei libri, poi, c’erano le illustrazioni degli attrezzi usati: ho iniziato raccogliendo quelli per la lavorazione del cioccolato e, da lì, è nata una collezione che è considerata tra le più belle d’Europa. Era un peccato non aprirla ad altri. Così, come un collezionista di quadri li espone in una galleria, ho trovato lo spazio a Roma, al Boscolo Circo Massimo in via dei Cerchi 87, e lì ho aperto un museo. La mostra è aperta a tutti e sono possibili visite guidate. Nella sala al piano terra, dove è raccolta tutta la minuteria, così come in quella del primo piano, dove invece si trovano i libri, ogni giorno arrivano pezzi nuovi. Sono felice di ciò che sono riuscito a realizzare perché, creando la Fondazione Boscolo a cui ho donato tutti i pezzi, ho la certezza che una collezione del genere mi sopravviva e non vada perduta. 

C’è un esemplare di cui va particolarmente fiero?
L’acquisto che mi ha reso più orgoglioso è stato quello di un Bartolomeo Scappi, autore del 1500 e Cuoco dei Papi: un libro in cui molte ricette sono replicabili. Sono fiero anche della prima edizione di Pellegrino Artusi, di cui esistono solo due copie in tutta Italia. 

Qual è invece il pezzo più curioso del museo?
Senza dubbio una pelamele dei primi del 1900, austriaca, da tavolo, ancora funzionante. È un mostro di meccanica – anche se sembra una macchina da cucire – utile per avere mele sbucciate e senza il torsolo per gli strudel. Ci sono anche una stufetta elettrica che non so se fosse un giocattolo o un pezzo del campionario di un rappresentante, e il primo gioco di cucina per bambini, sempre dei primi del 1900. 

Qual è lo scrittore che sente più vicino?
Nasco come appassionato di pasticceria: per questo gli autori che ho studiato di più e che sento più vicini sono da un lato Giuseppe Ciocca, i cui libretti, pur essendo poco importanti, contengono delle ricette che oggi funzionano ancora; dall’altro, il francese Urbain Dubois, autore dei tre volumi de La Cuisine Classique del 1854, poi tradotti in italiano nel 1877 dai cuochi milanesi. I francesi hanno dominato il panorama culinario per 350 anni e non sorprende che l’opera di Dubois sia stata tradotta in tutte le lingue e studiata fino al 1960.

Quanto e come sono cambiati i gusti nel tempo?
Sono cambiati non solo per il nostro palato, ma anche – e soprattutto – per la qualità del prodotto e per la tecnologia – si pensi all’uso del freddo o all’abbattimento. 

Le ricette raccolte come entrano nelle sue creazioni? 
Le ricette lette, così come le idee che da lì sono scaturite, sono la mia vera formazione. Ho avuto la fortuna di imparare dai maestri, però ogni volta che apro uno di quei libri mi accorgo che non abbiamo inventato niente: se qualcuno vuole fare dei passi in avanti dovrebbe prima farne uno indietro. 

C’è un ingrediente del passato che dovrebbe tornare in auge?
Ho chiamato il museo Garum: non mi aspetto che torni in voga, ma forse qualche salsa del 1500 potrebbe riuscirvi. Un ingrediente che invece ha una storia particolare, è la patata: ha causato la moria di moltissimi dublinesi e l’emigrazione di altrettanti. E pensare che è stata utilizzata solo 200 anni dopo la sua importazione dall’America, considerata com’era un prodotto solo per maiali e carcerati!

Se potesse tornare indietro nel tempo, in quale periodo storico-culinario vorrebbe vivere?
Senza ombra di dubbio vorrei vivere durante la Belle Époque, periodo di massima esplosione della creatività in cui le signore cominciano a fare i corsi di cucina e il lusso si diffonde: navi da crociera, grandi alberghi, piste da sci; l’espressione culinaria era veramente al massimo. 

Libri del passato ma tecnologie attuali: che significato ha digitalizzare l’intera raccolta? 
Abbiamo già digitalizzato 100.000 pagine e entro qualche mese sarà pronto un sito web. All’interno della mostra, inoltre, ci saranno dei monitor che permetteranno di sfogliare digitalmente i volumi: non solo quelli dell’Ottocento francese, ma anche del Cinquecento italiano, che dimostrano come tutto sia nato da lì, dai quei cuochi che Caterina De’ Medici portò in Francia e i cui ricettari costituiscono i pezzi più importanti del museo. A giugno ci sarà una mostra, presso la Biblioteca Nazionale di Roma, che raccoglie le prime edizioni dei libri italiani messi a disposizione da oltre 40 collezionisti da tutto il mondo: a me hanno chiesto, neanche a dirlo, quelli di cucina. 

Giornalista per per Corebook - L'arte di comunicare, Dottoressa in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo