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Good Design e/è God Design: la mostra

Mostra sull'architettura del cibo

cipolla di cannara

Nel 1963 Bruno Munari (uno dei protagonisti del design italiano del XX secolo) pubblicò un piccolo libello, edito da Giovanni Scheiwiller nella collana All’Insegna del Pesce d’Oro e intitolato Good Design, che evocava la mostra omonima, allestita nel 1950 al MoMa di New York da Charles e Ray Eames, e che aveva l’obiettivo di opporsi al fatuo, all’inutile e all’artefatto per rimarcare la necessità di forme semplici ed essenziali, resistenti all’usura del tempo: trentuno pagine acute e divertenti, in cui tre oggetti naturali (l’arancia, il baccello di piselli e la rosa) erano analizzati e giudicati in base alla loro effettiva funzionalità, come se si trattasse di veri e propri oggetti di design. Un’analisi che peraltro, proprio perché condotta con ironia, comportò sentenze a dir poco sorprendenti. La rosa, infatti, venne liquidata come oggetto «inutile all’uomo» e «perfino immorale», mentre il baccello di piselli e l’arancia furono celebrati come «oggetti esemplari», soprattutto l’arancia, tanto che, dopo più di mezzo secolo, vale la pena rileggere con attenzione la disamina di Munari.

patata rossa di colfiorito

Patata rossa di colfiorito, rilievo, Unipg 2015.

«L’oggetto è costituito da una serie di contenitori modulati a forma di spicchio, disposti circolarmente attorno a un asse verticale, al quale ogni spicchio appoggia il suo lato rettilineo mentre tutti i lati curvi, volti verso l’esterno, danno nell’assieme come forma globale, una specie di sfera. L’insieme di questi spicchi è raccolto in un imballaggio ben caratterizzato sia come materia sia come colore: abbastanza duro alla superficie esterna e rivestito con un’imbottitura morbida interna di protezione tra l’esterno e l’assieme dei contenitori. Il materiale usato è tutto della stessa natura, in origine, ma si differenzia in modo appropriato secondo la funzione. L’apertura dell’imballaggio avviene in modo molto semplice e quindi non si rende necessario uno stampato allegato con le illustrazioni per l’uso. Lo strato di imbottitura ha anche la funzione di creare una zona neutra tra la superficie esterna e i contenitori così che, rompendo la superficie, in qualunque punto, senza bisogno di calcolare lo spessore esatto di questa, è possibile aprire l’imballaggio e prendere i contenitori intatti. Ogni contenitore è a sua volta formato da una pellicola plastica, sufficiente per contenere il succo, ma naturalmente abbastanza manovrabile. Un debolissimo adesivo tiene uniti gli spicchi tra loro per cui è facile scomporre l’oggetto nelle sue varie parti tutte uguali. L’imballaggio, come si usa oggi, non è da ritornare al fabbricante ma si può gettare. Qualcosa va detto sulla forma degli spicchi: ogni spicchio ha esattamente la forma della disposizione dei denti nella bocca umana per cui, una volta estratto dall’imballaggio si può appoggiare tra i denti e con una leggera pressione, romperlo e mangiare il succo. (…) L’arancia quindi è un oggetto quasi perfetto dove si riscontra l’assoluta coerenza tra forma, funzione, consumo. Persino il colore è esatto, in blu sarebbe sbagliato».

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Sedano nero di Trevi, rilievo, Unipg 2015.

Pur parlando di un’arancia, Bruno Munari ribaltò la logica tradizionale, dimostrando che non è sufficiente saper copiare la natura, ma occorre anche saperla capire, perché da essa c’è sempre qualcosa da imparare. Basti pensare al suo celebre aforisma «l’uovo ha una forma perfetta benché sia fatto col culo», un pensiero condiviso quasi cinquecento anni prima da Piero della Francesca, quando suggellò la Pala Montefeltro con un enigmatico uovo di struzzo sospeso nel vuoto, eletto a emblema della perfezione divina. Peraltro è evidente che una riflessione seria sulla praticità dell’involucro dell’arancia e sulla perfezione di quello dell’uovo rappresentano degli esercizi di design tanto insoliti quanto proficui dal punto di vista didattico, soprattutto nell’era della sostenibilità.
Da qui le ragioni per cui, in occasione della convention A Porte Aperte, l’Università degli Studi di Perugia, per valorizzare il rapporto food/design, presenterà in mostra una rassegna di tavole grafiche policrome eseguite dagli studenti degli insegnamenti integrati Rilievo dell’architettura/Laboratorio di Rilievo dell’architettura – tenuti nell’anno accademico 2014/2015 da Paolo Belardi e Valeria Menchetelli – del corso di laurea magistrale a ciclo unico in Ingegneria Edile e Architettura. Esse sono volte a visualizzare la struttura morfologica delle eccellenze alimentari umbre (dal sedano nero di Trevi alla patata rossa di Colfiorito, fino alla cipolla dorata di Cannara) con gli strumenti propri del disegno tecnico. Piante, sezioni, prospetti e assonometrie che, caso per caso, sveleranno un disegno intelligente fatto di materiali performanti e di proporzioni armoniche, frutto delle infinite corrispondenze tra Good Design e God Design.

Presidente del Corso di Laurea in Design dell'Università di Perugia