ITALIA, IL CONIGLIO CHE (NON) C’ERA
Sebbene nel nostro Paese il consumo di coniglio sia calato, le cifre sono ancora tali da permetterci di tenere testa alla Cina, subito dietro Venezuela e Bolivia. In effetti, la nostra tradizione conta numerose varianti regionali, accomunate dall’uso di erbe e frutti boschivi. Famoso è il coniglio all’ischitana, dotato di carni toste grazie all’allevamento in fosse profonde fino a 3 metri. Presidio Slow Food è anche il coniglio grigio di Carmagnola, unica razza piemontese di cui sia rimasta traccia, con carni tenere e sapide che, solitamente, sono accompagnate dal ben più robusto sapore dei peperoni o dell’Arneis. A quello brusaü di Apricale (IM) viene rimossa la pelliccia con il fuoco; viene poi lavato con acqua e sapone di Marsiglia. In Valtellina e Valchiavenna, il coniglio in sguazèt prevede una cottura su pietra ollare, mentre in quel di Bergamo, da metà ’800, ha sostituito la lepre nella polenta con l’arrosto e la pucì (l’intingolo). Nel centro Italia, l’umbro coniglio fritto – o in porchetta, o in umido col prosciutto – si affianca all’anconetano potacchio, una sorta di stufato di diverse carni molto simile alla scottiglia o caciucco consumato nel Casentino.
BASTA CHE SIA AROMATIZZATO
I prodotti del bosco rientrano anche nella preparazione marocchina, in cui il coniglio viene cotto a fuoco lento con prugne, finocchi, mele cotogne, miele, cannella e cipolle: terribilmente simile al nostro trecentesco coniglio con la salsa cammellina, con cannella, midolla di pane e agresto (in estate) o vino e aceto non forte (in inverno). Oltre a prendere parte nella famosa paella, è il protagonista della tipica cena maltese detta fenkada: così, oltre a insaporire il sugo dei primi piatti, viene servito in umido, arrosto o grigliato come secondo. In Egitto, il coniglio baladi va a insaporire la molokheyya, una sorta di zuppa a base del cosiddetto ortaggio dei faraoni.
DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE…
Il momento migliore per consumarlo è l’inverno, ma, per scoprirne la freschezza, bisogna osservarlo: la carne deve essere rosa e il grasso bianco. Se si acquistano le interiora, al fegato è richiesta una colorazione uniforme. E se dietro alle zampe anteriori, sopra la giuntura, vi è una sporgenza grossa come una lenticchia, state pur certi che l’animale è ancora giovane. Vi sconsigliamo però di imitare i commensali del duca milanese Ludovico Sforza (1452-1508): sembra che usassero pulirsi le mani su pellicce di coniglio o, addirittura, su quelli ancora vivi e scalcianti!