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Un tocco di zenzero

Un film imperfetto, ricco di ingredienti non sempre azzeccati ma, come ci insegna Vassilis, a volte occorre usare la spezia sbagliata per ottenere l'effetto desiderato: in questo caso, intrattenere senza troppe pretese.

Fanis, professore di astronomia con una cattedra all’università di Atene, è innamorato dell’arte culinaria e deve questa sua passione al nonno Vassilis. In occasione dell’annuncio della visita di quest’ultimo, rievoca la sua infanzia e preadolescenza passate, negli anni Sessanta, a Istanbul (nel film chiamata ancora Costantinopoli).
Nel negozio di spezie del nonno, in compagnia dell’amica Saime – che balla per lui in cambio delle sue prelibatezze alimentari e dei suoi segreti per cucinare ad arte, e della quale resterà per sempre innamorato – imparerà a considerare la cucina una vera e propria ragione di vita.
Durante la crisi turco-ellenica, sarà costretto dalle autorità turche a espatriare in Grecia insieme alla famiglia e a lasciare l’anziano parente e l’amica del cuore, ma continuerà con tenacia a coltivare questa sua passione, anche contro l’opposizione della famiglia e dell’istituzione scolastica. Il suo desiderio inconfessato è quello di rinverdire, col sapore dei suoi piatti speziati, il ricordo del periodo felice passato nel negozio del nonno.
Questi sarà poi colto da un malore, e Fanis, al suo funerale, finalmente incontrerà di nuovo Saime. Il finale amaro, però, ce la mostra ormai sposata con un altro uomo e con prole al seguito – anche se forse ancora innamorata di Fanis, nonostante il destino abbia deciso di separarli.
Uscito nel 2003 e diretto da Tassos Boulmetis, Un tocco di zenzero fu uno dei più grandi incassi del cinema greco di sempre e arrivò a essere scelto per partecipare alla corsa per la candidatura al premio Oscar. Ha indubbiamente i suoi difetti, tra i quali – in alcuni passaggi e in particolare nel finale – un eccesso di sentimentalismo e un uso fin troppo evidente del digitale per la ricostruzione di alcune scenografie, ma contiene anche scene potenti, come quella iniziale con il protagonista ancora infante che sugge con voluttà il latte dal seno speziato dalla madre, metafora del legame tra sessualità e gusto; o, ancora, la sequenza finale, in cui la valenza simbolica del cibo raggiunge un significato e una potenza astrali (in fondo, come ci fa notare lo stesso Fanis, «la parola gastronomia racchiude in sé la parola astronomia»). Si tratta di una biografia del regista non troppo velata e fin troppo sentita, ma anche un buon affresco storico e un elogio all’importanza dei legami familiari. È un film imperfetto dunque, ricco di ingredienti non sempre azzeccati ma, come ci insegna Vassilis, a volte occorre usare la spezia sbagliata per ottenere l’effetto desiderato: in questo caso, intrattenere senza troppe pretese.