Marino Marini, archeocuoco e ristoratore perugino, è responsabile del Laboratorio di Storia della Cucina del Corso di Laurea in Economia e Cultura dell’Alimentazione dell’Università di Perugia e docente dell’Università dei Sapori. Dal 2014 è anche fiduciario Slow Food Alta Umbria e membro del centro nazionale di documentazione sulla cucina popolare di Monte S. Maria Tiberina I Granai della Memoria – Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
Com’è nata l’idea di Archeofood?
Archeofood nasce dall’intuizione geniale di Paolo Braconi, importante firma di questa rivista: nel 2007 mi propose di dare forma alle creazioni poste negli antichissimi ricettari che erano oggetto del suo corso di Storia dell’Agricoltura e dell’Alimentazione. Io accettai con entusiasmo e fui letteralmente rapito da questo mondo così straordinario e sconosciuto che è la storia della cucina. Ricominciai a studiare in maniera quasi compulsiva per nuotare senza affogare in quello che è un vero e proprio oceano, vastissimo e complicato.
Quali sono gli obiettivi di Archeofood?
Lo slogan parla chiaro: Il Senso del Gusto per la Storia, una visione seria e ragionata sui tanti temi del cibo antico e sul modo in cui le preparazioni alimentari del passato possano oggi avere un senso. Stimoliamo identità territoriali e culturali sconosciute ai più, contrapponiamo la spettacolarizzazione del cibo televisivo alla fantasia solida, colta e contestualizzata dei testi di gastronomia antica. Ai limiti del cibo da intrattenimento proponiamo la conoscenza degli ingredienti scomparsi o dei piatti dimenticati, censiti da fonti antiche di secoli o addirittura di millenni.
E i suoi obiettivi personali?
Arricchirmi ancora di più del sapere gastronomico e continuare a condividerlo. C’è un grande cuoco del Rinascimento che io ammiro moltissimo, non solo per l’opera che ha lasciato, ma per la sua filosofia, che per me rappresenta l’essenza di ogni mia giornata professionale. È Bartolomeo Scappi, il cuoco dei papi del 1500, che ha teorizzato il ruolo sociale dell’educatore delle arti culinarie e ha polverizzato il concetto del segreto del cuoco, considerandolo come elemento di mera insicurezza professionale. Ha evidenziato l’importanza sociale e civile della trasmissione della conoscenza ai giovani, esercitandola in modo che essi possano imparare divertendosi.
Il presente numero è dedicato allo zenzero, quali sono i suoi rapporti con questo rizoma?
Ottimi. Lo adoro sia come spezia sia come medicina alimentare. Trovo particolarmente importante il suo apporto alla complessità dei sapori, come il suo valore nutrizionale e salutare. È uno dei massimi rappresentanti di quel mondo alimentare antico che fondeva idealmente il cibo con la medicina. Cucinando il passato ho spesso a che fare con questo prodotto straordinario. Il Medioevo e il Rinascimento ne sono stati felicemente contaminati, ma negli ultimi due secoli ha latitato, e quelle cucine regionali che hanno dato forma al nostro attuale modello alimentare non ne hanno mai fatto grande uso. Nella cucina tradizionale italiana quindi è pressoché assente, ma fortunatamente le nuove tendenze gli hanno restituito l’attenzione che merita.
Con Archeofood avete individuato qualche utilizzo particolare che un tempo si faceva dello zenzero?
Si pensi che nel solo Libro de arte coquinaria del quattrocentesco Maestro Martino da Como lo zenzevero o zenzero è citato una quarantina di volte. I sapori di Medioevo e Rinascimento si sono strutturati anche attorno a questo rizoma, bizzarro nella forma e forte nel profumo. Le stesse riproposizioni presentate ai tantissimi partecipanti delle ultime edizioni della Congiura al Castello lo testimoniano: lo zenzero era presente non solo nelle carni, ma anche nelle guarnizioni del biancomangiare. Un sentore piacevolmente individuato e apprezzato dai più.