Le reti d’impresa
Non si tratta di una novità in senso assoluto nel panorama normativo del nostro Paese: sono note già altre forme di aggregazione tra imprese che vogliano collaborare tra di loro.
Con il contratto di rete, due o più imprese si obbligano a esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato (art. 3, co. 4-ter, DL n. 5/2009, conv. con L. n. 33/2009 e s.m.i.).
Non si tratta di una novità in senso assoluto nel panorama normativo del nostro Paese: sono note già altre forme di aggregazione tra imprese che vogliano collaborare tra di loro.
Ciò che caratterizza le reti impresa è il fine perseguito e la durata del contratto, elementi chiave per distinguerle da altre forme, quali i consorzi e le ATI (Associazioni Temporanee di Imprese). Il consorzio è infatti il contratto con il quale due o più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (art. 2602 c.c.); le associazioni temporanee di imprese sono invece aggregazioni cui esse ricorrono per partecipare a gare d’appalto e si caratterizzano, di solito, per il conferimento collettivo di un mandato con rappresentanza all’impresa capogruppo. Si tratta, dunque, di momenti di aggregazione occasionale, necessitati da un’occasione particolare quale può essere la partecipazione a una gara di appalto o la gestione in comune di una trattativa con un fornitore in posizione dominante.
Nelle reti di impresa, invece, la caratteristica essenziale è un programma comune duraturo, non limitato al compimento di un affare specifico o alla disciplina comune di determinate fasi della rispettiva attività di impresa. Un’aggregazione ove ciascuna impresa, al di là delle proprie dimensioni, assume un pari ruolo per il riconoscimento reciproco del valore di ciascuno e per il successo di tutti. Si tratta di un lavorare insieme.
L’ispirazione di questo modello muove da un approccio estremamente realista, ossia dalla constatazione che il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato da piccole e medie imprese, spesso di natura familiare, che hanno spiccata professionalità, capacità e intuizione, ma che possono non avere alla portata obiettivi di innovazione o, per esempio, di internazionalizzazione.
Ecco, le reti di impresa nascono dalla consapevolezza del proprio valore e dal riconoscimento reciproco del valore dell’impresa di ciascuno. Questo non significa rinunciare alla propria indipendenza: ogni imprenditore conserva la sua autonomia, ma contemporaneamente beneficia del miglioramento della propria dimensione necessaria per competere, ad esempio, sui mercati globali con imprese più strutturate e di maggiori dimensioni.
Le reti di impresa non impongono necessariamente processi di fusione societaria, operazioni di acquisizione ove il piccolo finisce per essere incorporato dall’impresa di maggiori dimensioni sino a sparire, ma anzi consentono a ciascuno di mettere a disposizione degli altri, intorno allo stesso tavolo, la propria eccellenza. Si tratta, dunque, di dare forma a un’intuizione antica e ben radicata nel nostro tessuto imprenditoriale qual è la nobiltà del mestiere che caratterizza e rende riconoscibile il made in Italy nel mercato globale.